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19 11 2020

Smart Working, il futuro del lavoro oltre l’emergenza

Viviamo una fase storica in cui lo smart working è diventata una necessità a seguito della pandemia. Ma per dare uno sguardo oltre, quale sarà il futuro del lavoro dopo l’emergenza? Se ne è parlato a un convegno online organizzato dal Politecnico di Milano, che Take ha seguito.

“Con lo smart working si fa riferimento a un nuovo modello di lavoro, ben più vasto di un progetto di innovazione tecnologica – ha detto Umberto Bertelè del Politecnico di Milano – Smart working significa rimettere in discussioni stereotipi relativi a luoghi, orari e strumenti di lavoro. E quando il mondo cambia, come è avvenuto durante la pandemia, bisogna adattarsi al cambiamento. Trasformare l’organizzazione del lavoro significa rimettere in discussione l’organizzazione della nostra vita, dell’economia e del territorio”.

 

Le tre regole del Politecnico di Milano

Secondo Bertelè, le tre regole da seguire sono:

  1. evitare rigidità incompatibili con le enormi differenze fra le diverse realtà;
  2. lasciare spazi alla sperimentazione di modelli organizzativi innovativi;
  3. mantenere uno sguardo sempre attento a ciò che avviene nei paesi dell’Unione europea e non solo.

Dopo si lui è intervenuta Fabiana Dadone, ministro per la Pubblica Amministrazione, che ha spiegato come negli ultimi mesi, complice la pandemia, la PA abbia colto l’occasione per sperimentare il lavoro agile.

“Il concetto di una modalità di lavoro diversa è entrata nella pubblica amministrazione – ha detto – Lo smart working è la punta dell’iceberg sotto cui ci sono un grande lavoro di innovazione, digitalizzazione e formazione del personale”.

Mariano Corso del Politecnico di Milano ha presentato i dati dell’Osservatorio sullo Smart Working. Nel 2019, lo smart working strutturato era stato adottato dal 58% delle grandi imprese, il 16% della PA, il 12% delle Pmi e aveva riguardato 570.000 lavoratori.

Quest’anno, durante il lockdown è cambiato tutto con un utilizzo nel 97% delle grandi imprese (+83%), nel 94% della PA (+487%) e nel 22% delle Pmi (+67%), per un numero di persone coinvolte pari a 6.580.000.

“Il cambiamento è stato per molti improvviso, ma chi aveva già usato lo smart working in passato si è fatto trovare più pronto di altri – ha spiegato Corso – C’è stato aumento della dotazione hardware, dei servizi per l’accesso sicuro ai dati, della dotazione software per la collaborazione e della comunicazione per incentivare l’uso degli strumenti a disposizione”.

 

Cosa abbiamo imparato, come affrontare la nuova sfida

Dallo studio emerge che l’80% dei lavoratori delle imprese e il 58% della PA è riuscito a svolgere tutti i lavori da remoto. In generale, c’è stato un miglioramento delle competenze digitali e un superamento dei pregiudizi nei confronti dello smart working. Ci sono state anche difficoltà e, per quanto possa sembrare paradossale, alcune hanno riguardato il work-life balance.

Cosa abbiamo imparato?

  • l’applicazione dello smart working consente di conciliare la tutela della salute e la continuità del business;
  • anche oltre l’emergenza sono possibili ed efficaci nuovi modi di lavorare;
  • le persone sono in grado di sviluppare nuove attitudini e competenze;
  • l’applicazione su vasta scala dello smart working conduce a nuovi modelli di vita e società.

La vera sfida è adesso e deve essere basata su alcuni punti fermi da tenere in considerazione:

  1. lo sviluppo di un modello di lavoro sostenibile richiede un delicato bilanciamento;
  2. senza un cambiamento culturale e manageriale il lavoro agile diventa puro privilegio;
  3. il nostro quadro giuridico e contrattuale non è ancora pronto;
  4. lo smart working applicato su vasta scala sposta ricchezza e bisogni.

 

Il coraggio di costruire

Secondo Francesco Caio, presidente di Saipem, il virus ci ha dato una sveglia per lo smart working, ma questo deve fare pensare a tutte le occasioni perse in altri campi. Non bisogna aspettare una pandemia per cogliere delle opportunità, ma occorre avere il coraggio di costruire e non farsi paralizzare dalla paura.

Fiorella Crespi del Politecnico di Milano si è soffermata su quanto è avvenuto dopo il 4 maggio, quando c’è stato un allentamento graduale delle misure di contenimento. Da quel giorno la possibilità di lavorare da remoto senza limiti di giornate è stata introdotta nel 72% delle grandi imprese e nel 46% degli uffici della PA.

A spingere alcune aziende a optare per il rientro sono state l’esigenza di promuovere il senso di appartenenza, il desiderio di favorire la socializzazione e di supportare la collaborazione. Per farlo, sono state introdotte regole sull’utilizzo degli ambienti anche con segnaletica per orientare i flussi.

In prospettiva, si può dire che dopo l’esperienza dello smart working su grande scala una volta terminata l’emergenza non si tornerà a come era prima. La strada è stata tracciata e una delle possibili soluzioni sarà una forma ibrida, con una presenza in ufficio alternata con il lavoro da casa.

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