16 05 2024
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“Oggi il 62% delle aziende e il 26% delle persone sperimenta l’AI generativa”.
Il dato lo ha rivelato Chiara Tamma del Politecnico di Milano, in occasione del convegno “Navigare nell’incertezza del futuro del lavoro: benessere e AI all’orizzonte”, che si è svolto ieri al Campus Bovisa del PoliMi.
Benefici e rischi dell’AI
I motivi che spingono a sperimentare l’intelligenza artificiale sono possibili benefici quali:
- produttività ed efficacia;
- stimolo all’innovazione e alla creatività;
- riduzione dei carichi di lavoro;
- qualità dei servizi e prodotti offerti.
Non mancano, però, anche barriere e rischi quali:
- comprensione delle persone;
- indebolimento delle relazioni interpersonali;
- privacy e protezione dei dati;
- capacità dell’organizzazione;
- affidabilità delle risposte fornite dagli algoritmi.
Secondo la ricerca condotta dal Politecnico di Milano, il 24% delle attività lavorative possono essere svolte con il supporto dell’AI generativa, che finora viene utilizzata soprattutto per ricerca di informazioni (31%) e traduzioni (21%).
Il talent shortage
Secondo uno studio del Politecnico di Milano, il 45% delle persone è preoccupato per l’impatto dell’AI sul lavoro e il 65% vorrebbe seguire dei corsi di formazione specifici.
“Per gestire l’AI generativa occorrono pensiero critico, AI interaction, etica digitale e decision making consapevole – ha detto Chiara Tamma – L’intelligenza artificiale può rispondere al problema del talent shortage e può aiutare su aspetti quali benessere e attrattività, ad esempio con la riduzione dei carichi di lavoro”.
In particolare, il problema del talent shortage consiste nella difficoltà a trovare talenti. Il 44% delle aziende intervistate prevede di crescere nel 2024, ma l’88% ha difficoltà ad assumere perché fatica a trovare candidati con adeguate competenze tecniche (57%) e anche soft (36%).
“I profili più critici sono quelli relativi all’area IT & Data Management, ma anche innovazione, ricerca e sviluppo – ha spiegato Mariano Corso del Politecnico di Milano – Oggi è poi molto importante l’attrattività delle organizzazioni perché nel 54% dei casi assiste anche al rifiuto di offerte di lavoro e di persone che si ritirano dal processo di selezione avanzato. C’è poi anche un 17% che cambia lavoro pochi mesi dopo l’assunzione”.
Cosa attrae di un’azienda
Quali sono considerati fattori attrattivi?
- tipologia di contratto;
- retribuzione e benefit economici;
- servizi di work life balance;
- contenuto del lavoro;
- ambiente di lavoro;
- opportunità di carriera.
“Oltre a questi, ci sono poi aspetti più recenti o emergenti quali flessibilità nel decidere orario e luogo di lavoro, benessere fisico e mentale, attenzione alla diversità, impatto sociale e ambientale – ha detto Corso – In particolare, la Gen Z spinge per nuovi valori”.
Per affrontare la situazione le aziende:
- aumentano i canali di ricerca tradizionali (51%);
- cercano il supporto di società specializzate (45%);
- fanno orientamento nelle scuole (405);
- rivedono le proposte economiche (40%).
Solo il 27% delle imprese ha però una strategia finalizzata ad acquisire le competenze di cui ha bisogno.
“Un’altra sfida che le aziende si trovano ad affrontare è quella delle grandi dimissioni: il 42% delle persone dichiara di avere intenzione di cambiare lavoro o l’ha già fatto negli ultimi mesi, e il dato sale al 65% nella Gen Z – ha proseguito Corso – Il 56% di chi cambia poi però si pente e soprattutto i giovani si sentono disillusi”.
Cosa spinge a cambiare lavoro
I motivi che spingono a cambiare lavoro sono soprattutto:
- benessere fisico e mentale (36%);
- retribuzione e benefit economici (35%);
- opportunità di crescita (24%).
Un candidato su quattro verifica se l’azienda è attenta all’equilibrio tra vita privata e lavorativa e al benessere delle persone. L’87% controlla la coerenza dei valori con l’organizzazione quando ricerca un nuovo lavoro. Cresce l’importanza di poter lavorare su più progettualità e avere percorsi di crescita in altre funzioni.
Felicità e benessere sul lavoro
La felicità e il benessere sul lavoro, aspetto sempre più importante per le persone, è composto da diversi aspetti quali:
- giusto riconoscimento (solo il 16% del campione intervistato lo percepisce giusto);
- wellbeing (solo il 9% dice di sentirsi bene dal punto di vista fisico, psicologico e relazionale);
- flessibilità e work-life balance (sente di avere il giusto equilibrio il 18%);
- inclusione e valorizzazione (a sentirsi pienamente incluso e valorizzato è solo il 16% e a sentirsi più discriminati sono giovani e senior);
- sviluppo ed employability (il 28% del campione percepisce di essere employable, soprattutto i baby boomers, di cui si rischia così di perdere l’esperienza).
In cima alla priorità della felicità del lavoro ci sono:
- full engagement;
- legame affettivo con l’organizzazione;
- job satisfaction.
In generale, solo il 5% delle persone dichiara di sentirsi felici sul lavoro.
Cosa fare per migliorare? “Ad esempio, agire sul purpose coinvolgendo le persone nelle iniziative di impatto ambientale e sociale”, ha concluso Moro.
Dati e ricerche