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07 11 2022

Smart working, il lavoro del futuro al bivio

Lo smart working è qui per restare, ma il lavoro del futuro si trova di fronte a due possibilità: essere visto solo come flessibilità o diventare un’opportunità di ripensamento dei modelli di organizzazione del lavoro.

Il messaggio è stato lanciato durante la presentazione degli ultimi dati dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano.

Secondo lo studio del Polimi, nel 2021 ci sono state 4.070.00 persone che hanno svolto il loro lavoro in un luogo diverso dalla sede principale, mentre nel 2022 sono state 3.570.000.

 

Le differenze tra grandi imprese e Pmi

“C’è stato un calo di 500mila persone, ma non deve essere visto come un passo indietro – ha detto Fiorella Crespi del Politecnico di Milano – Nelle grandi imprese si è infatti registrata una crescita, mentre i cali riguardano le Pmi e la Pubblica amministrazione. Le previsioni per il prossimo anno sono per un leggero incremento dei lavoratori da remoti nelle grandi imprese, ma poco cambierà per le piccole medie imprese e il settore pubblico”.

Al momento, le iniziative di smart working sono distribuite in questo modo:

  • grandi imprese (91%);
  • pubblica amministrazione (67%);
  • Pmi (48%).

Quali sono gli obiettivi delle iniziative di smart working? Soprattutto il miglioramento del benessere organizzativo e di engagement, il miglioramento del work-life balance delle persone, la capacità di attrarre e trattenere i talenti. Questo ultimo aspetto vale nel 65% delle grandi imprese, ma solo nel 7% delle Pa. In percentuale minore c’è anche il miglioramento della produttività.

Le giornate mensili di lavoro da remoto variano dai 9,5 giorni al mese delle grandi imprese agli 8 della Pa, fino ai 4,5 delle Pmi.

“Cresce la consapevolezza di dover creare ambienti che motivino e diano un senso al lavoro in ufficio – ha detto Fiorella Crespi – Il 68% delle grandi imprese e il 45% della Pa hanno infatti riscontrato resistenze al ritorno in ufficio. Il 91% delle grandi aziende punta al consolidamento delle iniziative, mentre nelle Pmi tutto resterà più limitato”.

 

Il punto di vista dei lavoratori

Dora Caronia del Politecnico di Milano ha presentato i risultati di un’indagine condotta insieme a Doxa. È emerso che esistono tre profili di lavoratori:

  • smart worker (27%, lavorano da remoto in una logica orientata al risultato e con flessibilità degli orari);
  • remote non-smart (21%, lavorano da remoto, ma senza flessibilità di orari e senza essere orientati al risultato);
  • on-site worker (52%, lavorano sempre in sede).

Qual è l’impatto dello smart working sui lavoratori? Cambia a seconda dei profili:

  • benessere relazionale (33% di smart worker, 18% di remote non-smart, 25% di on-site worker);
  • benessere psicologico (rispettivamente 42%, 29% e 32%).

Il trend vale sia nella relazione con il capo sia in quella con i colleghi e l’organizzazione.

In generale, solo l’11% dei lavoratori è full engaged con la propria organizzazione e sono gli smart worker ad avere i livelli più elevati (13%), mentre il dato più basso è tra i remote non-smart (6%).

In futuro, il 95% degli smart worker e l’87% dei remote non-smart vorrebbe continuare a lavorare da remoto e il 66% degli on-site worker desidera farlo.

“In conclusione, possiamo dire che gli smart worker ‘veri’ hanno livelli di benessere ed engagement più elevati rispetto agli altri profili di lavoratori”, ha detto Dora Caronia.

 

Gli impatti dello smart working

Mariano Corso ha spiegato i diversi impatti dello smart working. Per farlo, ha suddiviso le aziende in tre modelli di aziende:

  • smart working completo;
  • remote non smart;
  • on site.

“Ad avere avuto i miglioramenti maggiori in termini di capacità di innovazione, efficacia sul lavoro ed efficienza sono state soprattutto le aziende che hanno fatto smart working in modo completo – ha spiegato Corso – È aumentata anche l’attrattività per i talenti, è diminuito l’assenteismo ed è migliorata la capacità per queste imprese di essere inclusive”.

Come può essere misurato l’impatto dell’adozione dello smart working su sostenibilità e costi energetici? L’applicazione dello smart working per due giorni la settimana si traduce in un risparmio annuale per lavoratore pari a circa 1.000 euro per ogni lavoratore, 93 ore di vita restituite e circa 350 kg di Co2 non emessi, equivalenti a circa dieci alberi. A casa aumentano però di 400 euro i costi per consumi energetici e di 300 i kg emessi di Co2.

Per le aziende, il risparmio annuale per postazione è di circa 500 euro per costi energetici, 2.000 euro di locazione in caso di riduzione degli spazi del 30% e 400 kg di Co2 non emessi.

“A livello Paese tutto questo si traduce in un risparmio di 1,1 miliardi di euro e di 1,5 tonnellate di Co2, pari a una superficie di alberi grande otto volte il Comune di Milano”, ha concluso Corso.

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