06 10 2020
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“Il 68% delle aziende fa almeno una volta all’anno ricerche in misurazione del brand. A farle sono soprattutto aziende che operano nei servizi (88%) e nel retail (72%). Da una risposta su tre si evince che nell’ultimo anno gli investimenti sono aumentati, mentre per un’azienda su due sono rimasti costanti”. Lo ha detto Nicola Spiller del Politecnico di Milano in occasione della seconda parte del convegno “Branding e-volution”, durante la presentazione di uno studio condotto dal Politecnico di Milano e da Upa (Utenti pubblicità associati).
Di opinione diversa dalle aziende sono però i player della comunicazione. Come ha spiegato Spiller, tra questi intervistati solo il 20% ritiene che gli investimenti siano aumentati e per il 45% sono rimasti costanti.
Dalla ricerca emerge che nelle imprese i principali strumenti di misurazione delle iniziative di marketing e comunicazione sono:
- brand tracking (75%);
- analytics digitali (67%);
- pre/post test (58%);
- marketing mix model/modelli econometrici (51%);
- modelli di attribuzione basati su regole (19%).
I player della comunicazione percepiscono invece una prevalenza di analytics digitali (52%), davanti a brand tracking (40%) e pre/post test (39%).
La trasparenza è sempre più strategica
Per quanto concerne la media transparency, gli strumenti che le imprese considerano più rilevanti sono:
- brand safety (68%);
- viewability (56%);
- trasparenza del costo relativo agli spazi media acquistati (50%).
“Bisogna migliorare la trasparenza sulle modalità di raccolta del dato”, ha concluso Spiller.
Alberto Vivaldelli di Upa ha spiegato che il 71% delle aziende dichiara di utilizzare sistemi di precision marketing, ma nel settore retail la percentuale scende al 45%. Le iniziative con obiettivi di sales activation sono il 58%, quelle con obiettivi di branding il 15%. Il 58% delle imprese ha dichiarato di investire in iniziative di precision marketing e, tra queste, l’85% pensa di aumentare in futuro questo genere di investimenti.
Sotto una certa soglia numerica di target scelti, lavorare in precision marketing è inefficiente? A questa domanda ha risposto di sì il 46% degli advertiser intervistati e il 44% dei player della comunicazione.
Per quanto riguarda il commitment aziendale per la gestione dei dati, il 77% utilizza dati di prima parte per iniziative di digital advertising. Il 55% percepisce come affidabili i dati degli istituti di ricerca, il 42% quelli delle proprie agenzie media, il 38% i dati di business partner, il 23% i dati dei provider e il 16% quelli dei publisher.
Il 32% del campione intervistato utilizza una Data Management Platform esterna e il 31% una interna, mentre il 21% non ne utilizza nessuna e nel 16% dei casi è in corso una valutazione. Nelle aziende del settore retail l’utilizzo è ancora minore.
Dalla ricerca emerge anche che i Data Scientist sono coinvolti a livello operativo nelle aziende nel 40% dei casi.
“In conclusione, la necessità di dimostrare il valore del brand per il business è fondamentale – ha detto Vivaldelli – Oggi c’è spazio per la nascita e l’affermazione di nuove metriche digitali con una correlazione più solida agli obiettivi di branding. Un altro aspetto importante è che il precision marketing è qui per restare e crescere anche per obiettivi di lungo periodo, ma va gestito in modo strategico. Intanto le aziende si stanno strutturando per il data driven marketing, ma il ruolo degli operatori rimarrà fondamentale. Infine, la ‘battaglia dei dati’ passa dai tecnicismi al valore del business”.
Dati e algoritmi al servizio dell’uomo
Giuliano Noci del Politecnico di Milano ha sottolineato che anche quando si parla di dati la rilevanza della marca è importante. Questo perché per avere dati ci vuole qualcuno che li fornisca e questo avviene se c’è fiducia verso un brand.
“I dati e gli algoritmi sono molto utili, ma devono sempre essere visti al servizio dell’uomo – ha detto Noci – Bisogna quindi evitare di diventare degli integralisti dell’intelligenza artificiale”.
Vittorio Meloni di Upa ha parlato della trasparenza dei media. “È un concetto importante: l’84% dei grandi advertiser vanno verso modelli di gestione del programmatic in-house o ibridi – ha detto – Oggi esiste una forte dispersione degli investimenti nella filiera del programmatic, diventano sempre più importanti concetti come la brand safety, la blockchain e bisogna essere pronti a raccogliere una nuova sfida nella gestione e misurazione dei dati”.
Dati e ricerche