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02 05 2022

L’export digitale di fronte all’incertezza

L’export digitale sfida le consuete e le nuove certezze”: questo è il titolo del convegno organizzato dal Politecnico di Milano, che ha fatto il punto della situazione dell’economia mondiale dopo il duplice shock causato prima dal Covid e poi dalla guerra in Ucraina.

Lo scenario macroeconomico delle esportazioni è caratterizzato dall’incertezza e da continui cambiamenti. Secondo l’International Monetary Fund, nel 2022 il Pil mondiale crescerà del 3,6% e lo stesso incremento è previsto anche per il 2023.

 

La revisione delle stime

“A gennaio le stime erano migliori, ma poi sono state riviste al ribasso soprattutto in Europa, mentre una crescita maggiore ci dovrebbe essere in Asia e America Latina – ha spiegato Lucia Tajoli del Politecnico di Milano – C’è preoccupazione per l’inflazione, ma non siamo negli anni ’70. Gli effetti economici della guerra ci saranno a livello di incertezza su investimenti e consumi, anche se Russia e Ucraina hanno un peso limitato nel commercio globale. I rischi maggiori sono per alcuni paesi in via di sviluppo, forti importatori di materie prime agricole e alimentari, mentre è limitato dal punto di vista finanziario”.

Nel 2021, gli scambi di merci hanno più che recuperato la caduta del 2020, mentre questo non è avvenuto per i servizi. C’è maggiore volatilità nei settori con più partecipazione alle catene globali di valore, ma anche un recupero più rapido.

“È importante la diversificazione nelle modalità di internazionalizzazione e la presenza su diversi mercati esteri – ha detto Lucia Tajoli – Le previsioni per il 2022 sono per una crescita del commercio mondiale di merci intorno al 3%, ma l’incertezza delle stime è molto elevata”.

 

Il fenomeno della rilocalizzazione

Quali saranno gli scenari post-Covid e post-guerra in Ucraina? “Già prima erano in atto tensioni internazionali, la diffusione delle tecnologie digitali, una crescente importanza della sostenibilità e della produzione di prossimità – ha risposto Stefano Elia del Politecnico di Milano – Ora si passerà da un hyperglobalization e una slowbalization”.

Uno studio di Confindustria e del Gruppo di Ricerca RE4IT ha preso in considerazione 735 imprese italiane. È emerso che 535 di queste (il 73%) hanno delocalizzato le forniture nei cinque anni precedenti, ma 116 (il 22%) le hanno poi riportate in Italia. Quali sono i motivi della rilocalizzazione? Soprattutto tre:

  • la disponibilità di fornitori idonei in Italia;
  • i tempi di consegna più brevi;
  • la riduzione dei costi.

 

La nascita di due blocchi contrapposti

La guerra in Ucraina ha causato incertezza, aumento dei costi delle forniture e delle materie prime, crescita dell’inflazione e rallentamento del Pil. Oggi le aziende rivedono le politiche di approvvigionamento e seguono la strategia dei partner europei e occidentali. La possibile conseguenza è la nascita di due blocchi geopolitici ed economici contrapposti: uno a occidente e un altro a oriente. Questo potrebbe favorire lo scenario di regionalizzazione delle catene di valore.

“Il reshoring deve essere concepito non come protezionismo, ma come leva di competitività e attrattività – ha detto Elia – Bisogna incrementare la competitività delle nostre aziende e sostenere quelle che rientrano. La digitalizzazione e le esportazioni digitali possono contribuire a contrastare lo scenario di incertezza che ci troviamo di fronte”.

 

Le esportazioni digitali italiane crescono

Ma quanto vale l’export digitale b2c italiano? Nel 2020 13,5 miliardi di euro, mentre l’anno scorso è salito fino a 15,5 miliardi. I settori che incidono di più sono tessile/abbigliamento (56%), alimentare (14%) e arredamento (7,5%). Nel 2021, l’offline è stato pari a 173 miliardi di euro (era 153 nel 2020). Il tasso di penetrazione dell’online è del 9%.

Per quanto riguarda l’export digitale b2b di prodotti, continua a crescere a un ritmo allineato agli anni scorsi, nonostante la pandemia. Nel 2020 il valore è stato di 127 miliardi di euro, diventati 146 miliardi nel 2021. Il comparto con un peso maggiore è l’automotive (22,6%), seguito da tessile/abbigliamento (14,8%), meccanica (10,8%) e largo consumo (6,9%). In questo caso, il tasso di penetrazione dell’online è più elevato: 28,3%,

 

 

 

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