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16 10 2024

L’AI ridefinisce il mondo del business

“L’AI è destinata a trasformare in modo profondo il mondo del business e, dopo solo un anno e mezzo, Chat Gpt ha già cambiato l’interazione tra uomo e intelligenza artificiale”.

Lo ha detto Andrea D’Onofrio di Microsoft in occasione dell’edizione 2024 dei Digital Innovation Days.

“L’intelligenza artificiale è nata settant’anni fa, ma oggi è in grado di parlare la nostra lingua e questa è una rivoluzione – ha detto D’Onofrio – L’AI generativa ha un ottimo rapporto costi/benefici e crea nuovi scenari che prima non erano possibili”.

Silvia Andreani di Ipsos ha sottolineato che anche in un contesto caratterizzato da grandi innovazioni tecnologiche il fattore umano è importante.

Per tre persone su quattro l’AI cambierà la vita lavorativa

Secondo i dati dell’Osservatorio nuove tecnologie dell’Ipsos, il 33% delle persone è propenso a fidarsi di brand che realizzano esperienze di contenuti all’interno di mondi virtuali.

Cosa fare per aumentare questa percentuale? “Bisogna passare dall’hype all’impatto – ha detto Silvia Andreani – Occorre considerare che il metaverso non è morto, come alcuni credono, ma ha solo cambiato forma e ben il 97% delle persone dice di averne sentito parlare”.

Secondo uno studio di Ipsos, il 51% delle persone dichiara di avere una buona comprensione dell’intelligenza artificiale e il 66% pensa che cambierà la loro vita lavorativa in pochi anni.

Il 31% teme che toglierà posti di lavoro, mentre il 39% pensa semplificherà i processi. Per i manager migliorerà l’efficienza operativa (51%), ma è necessario puntare sulla formazione. Per il 51% delle persone intervistate, inoltre, nell’uso dell’intelligenza artificiale è importante la trasparenza delle aziende.

  L’AI ha bisogno del supporto umano

“Il mondo dell’AI senza supporto umano non ha ragione di esistere – ha detto Tommaso Canonici di Opinno – I risultati di questo abbinamento sono incredibili: più velocità, efficienza e qualità. Questo rende il processo più inclusivo anche per le piccole aziende e creerà maggiore innovazione”.

Oggi l’intelligenza artificiale può essere usata, ad esempio, per lanciare dei prodotti sul mercato o per simulare le persone con cui fare le interviste per una survey.

“Siamo solo all’inizio di un lungo viaggio, che si preannuncia molto affascinante – ha spiegato Marco Giletta di Oracle – Oggi per ottenere risultati è necessaria una forte consapevolezza degli obiettivi di business che si vogliono conseguire tramite questa tecnologia”.

L’era del purpose hype

Franco Frattini del Politecnico di Milano ha detto che viviamo nell’era del purpose hype.

“Il purpose ha una duplice origine – ha detto – Innanzitutto bisogna fare riferimento alla parola greca télos perché, quando scopriamo il nostro purpose personale, distinguiamo ciò che è corretto da ciò che è sbagliato – ha detto – Nel francese antico questo concetto è identificato con l’azione prioritaria verso cui indirizziamo le nostre azioni. Il purpose è il senso ultimo delle nostre azioni”.

Secondo Frattini i purpose sono di diverse qualità:

  • espansivi (esistono ragioni profonde che guidano i nostri comportamenti, guardano nel lungo termine e sono proiettati anche sugli altri);
  • limitati (l’arco temporale è di breve termine, i riflessi sono su di noi e sono inconsapevoli o imposti).

“Purpose diversi hanno effetti molto diversi – ha proseguito Frattini – In azienda si possono generare dei purpose espansivi, ma anche limitati. Le imprese che riescono a far passare un purpose a tutti i livelli creano a purpose-full business, con un impatto che va oltre il risultato economico di breve-medio termine”.

L’umanizzazione delle aziende

Oggi le persone chiedono un’umanizzazione delle aziende, che devono prendersi una responsabilità maggiore rispetto al passato, ma anche dagli investitori arriva una richiesta di miglioramento della società.

C’è poi una class to action che proviene dai clienti, con il 63% che preferisce aziende in grado di rispecchiare i loro valori.

“Il purpose deve essere caratterizzato da autenticità – ha concluso Frattini – Solo così, infatti, si crea valore nel medio-lungo periodo”.

Human Powerfulness

Josep Kotler del Politecnico di Milano ha parlato di open innovation. “Con questo modello un’azienda sfrutta sia le proprie idee e innovazioni sia quelle delle altre organizzazioni. Ma spesso ci si trova di fronte a barriere interne ed esterne”.

Bisogna quindi:

  • definire una missione per l’innovazione;
  • avere una struttura adeguata;
  • saper governare l’innovazione;
  • cambiare il modo di pensare, che deve essere orientato all’apertura.

I Digital Innovation Days 2024 hanno avuto come filo conduttore “Human Powerfulness”, inteso come innovazione digitale al servizio del bene comune e capace di migliorare la qualità della vita.

“Questo significa che l’innovazione digitale non va subita, ma utilizzata per avvantaggiarsene e ottenere capacità aumentate a vantaggio di tutta la società – ha detto Stefano Saladino, Cmo dell’evento – L’innovazione tecnologica permette di avere maggiori poteri, ma bisogna saperla usare bene per creare un benessere diffuso”.

L’importanza del linguaggio delle imprese

Giuseppe Mayer, Ceo di Talent Garden, ha detto che è fondamentale tenere sempre al centro di tutto l’elemento umano e favorire le competenze necessarie per adattarsi alla digitalizzazione.

“Il punto fondamentale è il mindset, perché bisogna adattarsi a qualcosa che cambia il nostro modo di lavorare e crea valore- ha detto – Occorre evitare di fare le stesse cose di prima, ma cercare invece nuovi modi per creare valore”.

Filippo Passerini di Procter & Gamble ha detto che esiste il rischio che i processi aziendali diventino obsoleti. Per questo motivo è necessario adottare sistemi adeguati con un approccio dinamico, che favorisca l’evoluzione.

Vera Gheno, sociolinguista, si è soffermata sul rapporto tra il linguaggio nelle imprese e la loro capacità di essere al passo con le innovazioni.

“Esiste un rapporto di questo tipo – ha spiegato – La realtà e la lingua sono correlate, la trasformazione della lingua può favorire un miglioramento della realtà e creare dei circoli virtuosi”.

Il civismo di marca

A che punto siamo con il civismo di marca in Italia? Da questa domanda si è sviluppato un dibattito durante cui Sara Taschera di Coop Italia ha spiegato che le aziende sono attrici sociali e non ci si può tirare fuori dalla chiamata.

“Abbiamo una responsabilità enorme e bisogna percorrere questa strada, magari anche solo un metro alla volta, ma bisogna farlo”, ha detto.

“Si deve riuscire a trovare quello che è attinente al proprio ruolo, non ci si può occupare di tutto, occorre muoversi dove si può fare la differenza – ha spiegato Laura De Laurentiis di Fastweb – La parola inclusione da sola fa poco, ma se si fa diventare le azioni parte dell’identità sociale allora si può arrivare all’autenticità”.

Secondo Paolo Iabichino, direttore creativo e scrittore pubblicitario, tra il mondo del profitto e quello politico con la lettera p maiuscola non c’è differenza. Le responsabilità dei manager e delle persone sono le stesse.

“Le tensioni fuori sono talmente forti che non possiamo non prenderne parte – ha concluso Iabichino – La politica, nel senso più elevato del termine, non è un’opzione”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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