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30 05 2024

La percezione della marca è un valore strategico per il business

“Per tre aziende italiane su quattro la percezione della marca è un valore strategico per portare risultati di business”.

Lo ha detto Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Multicanalità, Omnichannel Customer Experience e Internet Media del Politecnico di Milano, in occasione dell’edizione 2024 di Branding e-volution, che si è tenuta ieri al PoliMi.

Il dato è contenuto in una ricerca condotta dall’università con Upa (Utenti pubblicità associati), presentata all’evento.

“C’è ancora un’impresa su quattro che non dedica sufficiente attenzione a questo aspetto – ha proseguito – Bisogna invece sempre considerare che la marca è un baluardo a difesa dell’azienda anche e soprattutto in momenti di crisi”.

Brand building a sales activation

Qual è la percentuale di investimenti in comunicazione dedicata oggi a brand building e sales activation? I primi sono in crescita e il 33% delle imprese intervistate dice che oltre il 60% del budget va in questa direzione.

La sales activation registra, invece, una leggera diminuzione, ma il 37% dichiara comunque di dedicare più del 60% del budget per questa attività.

Nei prossimi anni il 65% delle aziende intervistate prevede una sostanziale stabilità, con il 15% che ipotizza una crescita del brand building e il 20% della sales activation.

Il brand purpose

Per quanto riguarda il brand purpose, che è un attivatore e promotore del cambiamento, si assiste a una sostanziale polarizzazione con il 25% che prevede una crescita degli investimenti e il 47% una diminuzione.

“C’è scetticismo e secondo un nostro studio il 59% delle persone credono che le aziende lo facciano solo per vendere di più – ha detto Valeria Chiappini di Kantar Italy – Il purpose deve quindi essere connesso con la credibilità e va poi portato avanti con tutte le leve a disposizione. Bisogna saper rispondere alla domanda delle persone ‘What’s in it for me?’ ed essere empatici nella quotidianità, in tutto il customer journey”.

Secondo Claudia Bandi di Nextplora c’è un calo della conoscenza dei brand tra la Gen Z. In questo periodo le persone cercano soprattutto prodotti a buon mercato e scelgono le private label, con la proliferazione dei media che pone nuove sfide agli investitori.

Cosa fare? “I brand devono ‘comportarsi da brand’, la pubblicità deve mettere al centro la marca e i suoi valori – ha risposto – È interessante rilevare che la notorietà dei brand affermati aumenta con l’età, mentre quella dei brand emergenti è equivalente in tutte le fasce, ma con dati migliori tra i giovani”.

I nuovi trend di consumo e l’attenzione alla salute sono caratteristici dei brand emergenti. Nei touchpoint digitali si concentra il ricordo pubblicitario: la relazione con i brand emergenti avviene online per tutto il journey e le leve sono soprattutto innovazione, origine/provenienza e sostenibilità.

La misurazione

Un aspetto importante è quello della misurazione. “Un’azienda su tre dice di aver aumentato gli investimenti in misurazione della marca, ma per il 37% è vero il contrario e c’è anche un 16% che non investe”, ha detto Spiller.

Quali strumenti sono utilizzati?

  • analytics per i mezzi digitali (78%);
  • brand tracking (58%);
  • brand lift (48%);
  • marketing mix (45%).

Nel 30% delle aziende la conoscenza del concetto di misurazione dell’attenzione è buona o abbastanza buona. Il 18% utilizza attention metrics, il 17% intende farlo, ma il 65% ancora non lo prevede.

I mezzi percepiti come più efficaci per obiettivi di brand building sono:

  • televisione lineare (76%);
  • digital video (45%);
  • advanced tv (39%);
  • eventi/sponsorizzazioni (38%).

La creatività video è sviluppata a partire dalla specificità dei media su cui verrà veicolata (44%) e il dato sale al 66% per la creatività audio.

Le nuove tendenze

Alberto Vivaldelli, responsabile Digital di Upa, ha detto che i nuovi trend da monitorare sono:

  • influencer marketing (nei prossimi tre anni il 59% delle aziende prevede di aumentare i propri investimenti per migliorare l’engagement, raggruppare nuovi segmenti di consumatori, aumentare la brand awarness. I driver per la scelta sono nel 74% dei casi l’affinità con i valori del brand e nel 51% quella con l’audience);
  • retail media (il 40% delle aziende lo fa già e il 17% prevede di farlo nel 2024. Prevalgono gli acquisti di spazi adv sui siti web dei retailer online con l’82% e di spazi nei punti vendita fisici con il 59%. La sfida è aumentare la qualità dei dati raccolti sui clienti);
  • AI e tecnologie immersive (il 58% impiega tecnologie immersive nelle iniziative di marketing e comunicazione).

La personalizzazione

Per Giuliano Noci, ordinario di marketing del Politecnico di Milano, il tema della marca sta diventando sempre più rilevante per diversi motivi. L’incertezza di contesto impone di semplificare i processi decisionali e la marca permette di farlo. C’è però una complessità cognitiva associata ai processi d’acquisto e si guarda soprattutto al posizionamento.

“Oggi le istituzioni fanno fatica ad avere presa sulla società civile e, almeno in parte, la marca sopperisce a questa carenza – ha detto – Il costrutto di marca è un viaggio e si avvicina sempre di più all’individuo alla ricerca di un’intimità. La marca diventa così sistema di relazione e costruisce nuova equity. La marca deve seguire l’individuo e aggiungere un contenuto di personalizzazione, e questo avverrà sempre di più grazie anche all’intelligenza artificiale”.

Il ripensamento strategico

Per Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa, in questi anni viviamo un cambio d’epoca che richiede un ripensamento strategico a 360 gradi per tre brevi ragioni:

  • competizione;
  • cambiamento;
  • crisi.

Da tempo assistiamo a un’impressionante crescita del livello competitivo. Basti pensare che in un ipermercato ci sono circa 20mila prodotti, ma a una famiglia ne possono servire in media 120. È così fondamentale differenziarsi dalla concorrenza e perseguire la leadership di marca è più importante che in passato.

“Eraclito diceva che niente perdura come il cambiamento – ha detto Sassoli di Bianchì – Oggi questo avviene soprattutto per la tecnologia. Nella comunicazione si assiste a una convergenza tra mezzi classici e digitali. Ci vuole una total campaign, che bisogna saper misurare”.

Negli ultimi anni alcuni fatti – dalla crisi finanziaria alla pandemia, fino alle guerre – sono andati oltre l’imprevedibile. Il futuro arriva in fretta a mai nell’ordine che abbiamo previsto. Le aziende si trovano così in difficoltà a pianificare nel medio-lungo termine.

Cosa fare? Occorre essere flessibili e cogliere le opportunità. Ad esempio, tornando ai fondamentali senza cercare piani troppo sofisticati. È meglio cercare quello che è già chiaro, ovvio, che poi non sempre è così semplice. L’ovvio corrisponde alle percezioni attuali.

“La marca deve uscire dalla confusione in modo semplice, evitando qualsiasi complicazione”, ha concluso Sassoli de Bianchi.

 

 

 

 

 

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