04 12 2023
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“L’inclusione e la parità di genere creano un combinato virtuoso di effetti sociali ed economici”. È questo il messaggio lanciato da Silvia Brena, docente dell’Università Cattolica e fondatrice di Vox, l’Osservatorio Italiano sui Diritti, in occasione di un corso organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia che si è svolto all’Università IULM di Milano.
Il corso, dal titolo “Cultura di genere e strategie di promozione della parità di genere: linguaggi, percorsi, narrazioni” ha sottolineato che oggi molte grandi aziende hanno un Diversity Manager, ma quelle editoriali sono ancora indietro.
Un odiatore online su due se la prende con le donne
Nell’attività che svolge da anni, Vox ha creato una mappa dell’intolleranza che riguarda diverse categorie: disabili, omosessuali, migranti, ebrei. Dall’indagine è emerso che circa il 50% degli odiatori online se la prende con le donne. Non si colpisce più solo con il body shaming, gli obiettivi sono ora spesso le competenze e la professionalità.
“Esiste una correlazione tra hate speech e hate crime, c’è un legame tra pensato e agito – ha detto Silvia Brena – Con l’hate speech si crea un terreno fertile”.
Il problema della parità di genere va affrontato sotto diversi punti di vista. In Italia, nel 1960 il tasso di occupazione femminile era del 26% e in Norvegia del 28%. Dopo quarant’anni in Italia siamo arrivati al 38% e in Norvegia al 73%. La differenza è dovuta al fatto che la Norvegia ha implementato politiche di welfare e per le famiglie.
I benefici della parità di genere
La parità di genere ha diversi effetti positivi:
- aumento del Pil;
- minore violenza;
- crescita della reputazione per le aziende.
“Molti giovani scelgono un’azienda anche in base all’attenzione per queste tematiche – ha spiegato Silvia Brena – Bisogna cambiare la cultura non solo con le leggi, ma anche tramite il linguaggio e i messaggi”.
Un potenziale anche per il Pil
Michele Valerio, partner di Eupragma, società di consulenza di direzione per lo sviluppo strategico, l’organizzazione e le risorse umane, ha detto che in un’azienda la parità di genere non deve essere qualcosa di accessorio, ma fondativo.
Secondo il World Economic Forum, al ritmo attuale ci vorranno 151 anni perché le donne raggiungano la piena emancipazione. La situazione dell’Italia è preoccupante: il nostro Paese è 79esimo nel ranking mondiale (era 63esimo l’anno scorso) in base a parametri quali dimensione economica, educazione, salute e political empowerement. Per tasso di occupazione delle donne siamo addirittura ultimi in Europa.
“Bisogna sfatare il falso mito del rapporto tra fecondità e occupazione femminile, con donne che restano a casa a fare le mamme– ha spiegato Valerio – L’Italia è ultima anche per numero di figli, mentre in Svezia, Estonia e Olanda, ad esempio, si fanno più figli e l’occupazione femminile cresce”.
Nel nostro Paese abbiamo più donne che uomini laureate: un potenziale sprecato enorme, anche in termini di Pil. È stato stimato che promuovere in modo adeguato la parità di genere potrebbe portare, entro il 2050, ad aumentare il Pil del 12%.
Dopo la legge del 2011 sulle “quote rosa” nei consigli aziendali è aumentata la rappresentatività, ma vanno fatti ancora molti passi avanti per superare gli stereotipi.
La certificazione della parità di genere
“Un tema importante è quello della certificazione della parità di genere: non è un obbligo, ma apre enormi opportunità”, ha proseguito Valerio.
Il contesto è questo: secondo GreenBiz, circa due giovani su tre preferiscono rinunciare a lavorare in aziende che non si impegnano in modo sostanziale e trasparente sulla sostenibilità. E per Gallup il 75% dei collaboratori ritiene che sostenibilità e inclusione siano importanti per le aziende.
“L’engagement del personale è importante – ha detto Valerio – I collaboratori vogliono lavorare in ambienti inclusivi e rispettosi”.
Oggi il 79% delle aziende prevede di aumentare il budget per attività di Dei, ma il denaro non basta a sradicare problemi e stereotipi.
“L’inclusione rappresenta una caratteristica distintiva dei nuovi modelli di leadership ed è funzionale per governare il cambiamento – ha proseguito Valerio – Bisogna gestire un’evoluzione continua”.
La certificazione della parità di genere offre tre grandi vantaggi:
- reputazione;
- agevolazioni fiscali (con sconto su contributi previdenziali);
- punteggi premiali (per bandi forniture).
Attenzione al pinkwashing
La sfida è passare dall’impegno all’azione e per farlo sono necessarie consapevolezza,
progettualità, sistemi di gestione (la scelta deve essere permanente) e, appunto, certificazione.
Bisogna avere una strategia con:
- budget dedicato;
- formalizzazione di un piano strategico;
- coinvolgimento dell’alta direzione.
È importante anche misurare gli obiettivi, comunicare in modo adeguato, formare, lavorando sugli stereotipi e su alcuni processi di risorse umane. Bisogna avere il coraggio di prendere posizione per rafforzare la propria identità.
“Attenzione al pinkwashing, è indispensabile essere seri e coerenti, altrimenti si rischia di essere controproducenti – ha concluso Valerio – Se invece la parità diventa un tema strategico permette di gestire la complessità organizzativa e diventa attrattiva per persone e clienti”.
L’esperienza di Vodafone
Silvia De Blasio, direttrice Comunicazione Corporate & Fondazione Vodafone, ha ricordato che il purpose di Vodafone è connect for a better future.
“Da noi il 52% delle persone sono donne, che hanno un ruolo significativo nel Comitato Esecutivo (40%), in posizione manageriali (43%) e sul totale dei dirigenti (33%) – ha detto – Abbiamo anche realizzato il roadshow ‘Un passo avanti’ e creato un manifesto sull’inclusione”.
Puntare sulle emozioni positive
“In generale, ci vuole una cultura basata sulla gentilezza – ha spiegato Silvia Brena – Sui social esiste il fenomeno delle eco chambers con l’algoritmo che ci porta a vedere soli i contenuti di persone che mettono i like ai nostri post e, quindi, hanno un modo di pensare simile al nostro. A questo si aggiunge che a ottenere maggiori risultati sono i contenuti molto carichi positivamente e negativamente. Accade però che quelli negativi catturano ancora di più e se si entra nella camera dell’eco tutto viene amplificato”.
In questo contesto, come ottenere una cultura inclusiva? “Sono necessarie emozioni positive, gentilezza, empatia, capacità di ascolto dell’altro – ha concluso Silvia Brena – Occorre riaffermare le matrici narrative in funzione antidiscriminatoria e lavorare sul linguaggio”.
Comunicazione