19 05 2021
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Quasi un’impresa italiana su due manifatturiera o dei servizi, che conta tra cinque e 499 addetti, può essere considerata fragile perché non ha introdotto innovazione di prodotto, processo e marketing nel triennio 2017-2019.
A questa conclusione è arrivato uno studio svolto dal Centro Studi Tagliacarne-Svimez su un campione di 4.000 aziende. Un’analisi preoccupante, che offre però una ricetta chiara per superare la fragilità: investire sull’innovazione.
La diffusione delle imprese analizzate è disomogenea: il 55% nel Mezzogiorno, il 50% al Centro, il 46% nel Nord-Ovest e il 41% nel Nord-Est.
Lo shock del Covid
Nello studio si legge che “il combinato disposto di fragilità, che ha indebolito la risposta allo shock da Covid, e delle previsioni sulla mancata ripartenza delle vendite nel 2021 genera un bacino di imprese a forte rischio di espulsione dal mercato: a livello nazionale il 15% (73.200 in valori assoluti) delle imprese avrà forti difficoltà a “resistere” alla selezione operata dal Covid come risultato di una compresenza di fragilità strutturale (assenza di innovazione, di digitalizzazione e di export) e performance economica negativa nel 2021. Da segnalare la differente forbice Mezzogiorno-Italia tra imprese fragili (7 punti percentuali) e quella con previsioni di contrazioni del fatturato (1 punto) che potrebbe essere l’indice di una emergenza sommersa al Sud con consuntivi che alla fine dell’anno si potrebbero tradurre in una maggiore quota di imprese meridionali in forte difficoltà rispetto agli andamenti stimati”.
Dati e ricerche