16 12 2021
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Dai dati dipende sempre di più la qualità delle decisioni prese da imprese e consumatori. Se ne è parlato al Forum della conoscenza 2021, un’opportunità di riflessione e confronto sull’industria dei numeri.
“Il mercato delle ricerche di mercato è in crescita, ma affronta ancora problemi di cultura del numero nei processi aziendali – ha detto Stefano Menghenello dell’Istat – Oggi la crescente disponibilità dei big data e di nuove fonti spinge gli operatori del settore a una maggiore differenziazione in termine di qualità dei dati prodotti. Un aspetto importante è la rilevanza, la business revalance, ossia la capacità degli utilizzatori di usare concretamente i dati a sostegno delle decisioni prese”.
I cinque trend del settore
Quali sono le principali tendenze in atto nel comparto? Essenzialmente cinque:
- il ruolo dei dati come fattore culturale della competitività delle aziende è destinato a incrementarsi nel tempo;
- la raccolta dei dati di qualità rimarrà un elemento selettivo, ma importante;
- la crescente disponibilità e varietà dei dati continuerà a modificare i processi e i modelli di business del settore;
- il settore sarà sempre più knowledge intensive;
- la qualità del servizio offerto sarà cruciale.
Un mercato da 18 miliardi di dollari
I numeri sul settore sono stati forniti da Matteo Lucchi, presidente di Assirm, l’Associazione delle aziende di ricerche di mercato, sondaggi di opinioni e ricerca sociale.
“Il mercato europeo delle ricerche di mercato vale 18 miliardi di dollari e quest’anno è cresciuto del 18% – ha spiegato Lucchi – Si investe soprattutto in Uk, Francia, Germania e l’Italia è quarta, con investimenti pari a 600 milioni di dollari”.
Secondo i dati di Assirm, oltre il 90% delle aziende ritiene che la ricerca di mercato sia utile per sviluppare il business, ma il dato riguarda prevalentemente le grandi imprese. Oltre il 92% ritiene fondamentale conoscere il proprio consumatore e tre quarti pensa che in futuro le ricerche saranno ancora più importanti.
Per quanto riguarda il Pnrr, le aziende pensano che negli investimenti si debba dare priorità a istruzione e ricerca, digitalizzazione e salute. L’innovazione digitale è l’obiettivo considerato più raggiungibile nei tempi previsti.
La fiducia delle imprese rimane alta
A livello economico generale, secondo i dati del Centri Studi di Confindustria lo scenario è di una ripresa del 6,1% nel 2021 e del 4,1% nel 2022.
“Complessivamente riusciremo a risalire il gap che si era creato con la pandemia – ha spiegato Ciro Rapacciuolo di Confindustria – Lo scenario è favorevole, gli investimenti crescono di oltre il 18%, ma bisogna considerare che erano diminuiti del 9% nel 2020. La fiducia delle imprese rimane alta, le esportazioni di beni hanno già recuperato il livello precedente crisi, mentre per i servizi la ripresa è più lenta”.
La marca come punto di riferimento
Qual è il futuro del ruolo della marca? Secondo uno studio di Assirm sarà sempre maggiore. L’83% delle persone dichiara di avere bisogno di punti di riferimento e, in un periodo di instabilità e crisi, la marca rappresenta un punto fermo. Il 76% degli intervistati ritiene che le tematiche ambientali e sociali siano un’area nella quale i brand debbano impegnarsi.
“Per il 90% dei consumatori bisogna parlare al singolo individuo e personalizzare – ha detto Tommaso Pronunzio di Assirm – Secondo l’86% la marca dovrebbe avere il ruolo di alleggerire le responsabilità del consumatore e il 90% ha una grande fiducia nel made in Italy come driver di scelta degli acquisti”.
La capacità delle marche di essere adattive
Durante la tavola rotonda, Raffaele Pastore di Upa ha spiegato che durante il lockdown le marche si sono mostrate molto adattive. “In quei giorni, alcune marche hanno smesso di comunicare, altre hanno continuato a farlo e altre ancora hanno intensificato la comunicazione. Si pensi, ad esempio, ai brand di prodotti per l’igiene della casa – ha detto Pastore – Ci sono poi state anche marche che hanno cambiato il loro modo di comunicare con campagne di solidarietà mirate sulla situazione, e si sono adattate a fare questo con molta rapidità. Oggi una marca è sempre più impegnata anche nella sfera emotiva, di sostenibilità e tutela dei diritti. Questo significa comunicare molte più caratteristiche rispetto a una volta”.
Sostenibilità sostenuta dai fatti
Secondo Emanuele Nenna, all’inizio del lockdown c’è stata un po’ di retorica nella comunicazione, ma è stata circoscritta al primo periodo. Poi sono nate occasioni di creatività applicata anche al modo di produrre, con alcune campagne girate in casa.
“È stata una sfida impegnativa, che è stata affrontata con creatività – ha detto Nenna – Ora ci troviamo a parlare molto di sostenibilità, ma il rischio è che lo si faccia in modo inappropriato. I consumatori sono sempre più attenti e questo richiede un lavoro impegnativo a quattro mani tra agenzie e aziende. L’aspetto fondamentale è raccontare solo storie sostenute dai fatti”.
Da variabili valoriali a competitive
Giorgio Santambrogio ha spiegato che Federdistribuzione è passata dal concetto di grande distribuzione prima e distribuzione moderna dopo, a uno di industria del commercio.
“Durante il lockdown le persone del retail hanno avuto un ruolo di responsabilità sociale – ha ricordato Santambrogio – Sono cambiati alcuni comportamenti d’acquisto e il brand ha avuto un ruolo fondamentale per dare fiducia, con la marca del distributore a fianco di quella industriale. Oggi bisogna sottolineare che, a parità di condizioni strutturali, i clienti scelgono le insegne e i prodotti capaci di essere a favore delle comunità, impegnate in modo concreto a contrastare lo spreco, educare a comprare e consumare bene, diminuire il livello della plastica, risparmiare acqua ed energia. Le variabili valoriali diventano così variabili competitive”.
Inizia l’era della customer centricity
Oggi i consumatori sono tornati al centro, siamo entrati nell’era della customer centricy. Non solo. “La digitalizzazione sarà sempre più importante così come la sostenibilità, un altro concetto che deve basarsi su dati, informazioni e conoscenze – ha detto Piergiorgio Rossi di Assirm – In ogni caso, bisogna distinguere tra sostenibilità sostenibile e solo comunicata. La prima riguarda le aziende già pronte, la seconda è solo greenwashing”.
Secondo Rossi, bisogna dare voce ai clienti e le ricerche di mercato devono essere “le orecchie” di aziende e istituzioni. Ci vuole una società responsabile guidata dalla conoscenza.
L’intelligenza artificiale come vantaggio competitivo
Enzo Frasio di Assirm ha sottolineato che negli ultimi due anni la dotazione tecnologica degli italiani ha fatto un salto in avanti notevole. Molte attività prima di carattere fisico ora sono diventate digitali.
“Gli acquisti online riguardano soprattutto intrattenimento, salute, cibo e bevande – ha detto Frasio – Oggi è molto importante per le aziende estendere l’utilizzo dell’e-commerce alla fascia di popolazione over 60”.
Cosa rimarrà dopo la pandemia? Il 77% degli intervistati da Assirm dice che le nuove abitudini resteranno. Saranno sempre di più apprezzate le applicazioni di intelligenza artificiale tese a soddisfare bisogni di sicurezza, semplificazione e creazione di offerte su misura.
Per quanto riguarda le aziende, vedono l’artificial intelligence come fonte di un chiaro vantaggio competitivo (87%) e per il 70% è anche di facile comprensione. Quasi la metà delle imprese pensa che l’esponenziale incremento della digitalizzazione abbia impattato positivamente sulla qualità del servizio offerto.
L’AI contro i cambiamenti climatici
Secondo Emanuela Girardi di AIxIA, il Pnrr è una grande opportunità, ma la parola intelligenza artificiale viene citata solo sette volte nel testo. “Esiste una mancanza di priorità strategica – ha commentato – Bisognerebbe investire in ricerca, trasferimento al mercato e alla società, competenze. È necessario un cambiamento culturale per rendere l’AI alla portata di tutti. Bisogna partire dall’affidabilità, dobbiamo poterci fidare di questa tecnologia. E l’intelligenza artificiale può aiutare anche nella lotta contro i cambiamenti climatici e per migliorare la salute”.
L’artificial intelligence per personalizzare
Nicola Gatti del Politecnico di Milano ha ricordato che alcune cose abituali in passato ora, dopo la pandemia, abbiamo capito non essere così necessarie. Si pensi agli spostamenti e al loro impatto sulla sostenibilità.
Gianluca Diegoli dello Iulm ha detto che i brand oggi devono imparare a personalizzare. “Farlo con gli uffici marketing non è possibile – ha spiegato – L’uso della tecnologia può essere utile proprio per intercettare i bisogni e personalizzare le risposte. E questo filone sarà sempre più importante nei prossimi anni”.
Il brand journalism
Durante uno dei workshop, Ivan Zorico di Smart Marketing ha parlato del brand journalism e ha riportato la definizione che ne fa Larry Light: “Il brand journalism è la cronaca degli eventi che accadono nel mondo di un brand, attraverso i giorni e gli anni. È ciò che creiamo per il brand, un reale valore percepito dal cliente”.
Zorico ha spiegato che il brand journalism è il figlio dell’elevata esposizione pubblicitaria tradizionale a cui siamo sottoposti. Non è solo storytelling, è rendere notiziabile la vita dell’azienda mettendo al centro non l’azienda stessa, ma le persone.
E si scrive sempre avendo in mente un pubblico di riferimento.
“Il brand journalism è fare informazione, non vendita, per conto del brand – ha detto Zorico – Le aziende si trasformano in media company e attraverso i propri canali curano la pubblicazione di contenuti per coinvolgere le persone e farle sentire parte attiva dell’impresa”.
Gli obiettivi sono:
- sviluppare la conoscenza del brand (brand awarness);
- diventare una media company e una voce autorevole nel proprio settore;
- coinvolgere e fidelizzare le persone che seguono il brand;
- incrementare le vendite.
Il content marketing
Raffaele Castellano di Smart Marketing si è poi soffermato sul content marketing. “Durante la pandemia molti brand hanno mantenuto una relazione con i clienti proprio grazie ai contenuti forniti”, ha detto e ha poi spiegato che il content marketing è un approccio di marketing strategico che si basa sulla creazione e distribuzione di contenuti di valore al fine di attivare un pubblico sul proprio sito o social network, creare una relazione e, infine, aumentare le vendite.
“Il concetto fondamentale è che ‘content is king’ – ha spiegato Castellano – E va ricordato che i più grandi esperti di contenuti non lo sono solo della materia che trattano, ma hanno una cultura molto più vasta. Non bisogna quindi rimanere nel proprio ‘giardino’, ma bisogna saper osservare, reinterpretare ed essere creativi. Tenendo presente che, secondo Picasso, i buoni artisti copiano, quelli grandi rubano”.
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