11 10 2023
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Memoria e tecnologia: questi sono stati i due macro-temi protagonisti di molti dibattiti al Festival della Comunicazione 2023, che si è svolto a Camogli.
Il ritorno della guerra
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nella sua lectio magistralis, ha sottolineato che viviamo un momento molto difficile in cui la guerra è purtroppo tornata protagonista. “La guerra è stata in un certo modo riabilitata come strumento per risolvere i conflitti – ha detto – Abbiamo già dimenticato cosa è successo con le guerre mondiali, la tragedia della Shoah e occorre recuperare la memoria”.
Cosa significa? Quello che Umberto Eco diceva nel 2013 in un discorso all’Onu: “La riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere tra i primi progetti per il nostro futuro”.
Il critico Aldo Grasso ha parlato della televisione come mito antico, che scandisce la nostra esistenza. Secondo Grasso, c’è però una finzione di base perché promette di farci vedere cosa mai viste, ma poi propone quasi sempre il lato traumatico della vita.
Il rapporto tra esseri umani e AI
Nello Cristianini, informatico, ha spiegato come convivere con le macchine intelligenti e, per farlo, bisogna capire cosa si intende per intelligenza. “È la capacità di comportarsi in modo efficace in situazioni mai viste prima – ha spiegato – Vale per gli animali, ma anche per i software”.
Per creare l’intelligenza artificiale, invece di seguire teorie difficili e regole astratte come è stato fatto per anni, più di recente si è puntato sulla statistica come scorciatoia. Si è poi capito che erano necessari tanti dati per scoprire le relazioni statistiche, che sono stati resi disponibili dal Web.
Come si fa a sapere cosa vuole un utente? Ogni click è un segnale di gusti, interessi. Già la nostra attività su Facebook manda chiari segnali sulla personalità di ciascuno.
“Tutto questo ha creato le premesse per realizzare le macchine di intelligenza artificiale – ha spiegato Cristianini – ChatGPT oggi offre molte opportunità, ma non vanno trascurati anche i rischi”.
Secondo Cristianini, ora abbiamo le macchine di AI che volevamo, ma gli algoritmi continuano a proporre attività che, in alcuni casi, possono portare alla dipendenza online. In questo contesto, il ruolo che può avere l’intelligenza artificiale deve quindi essere studiato e approfondito.
La prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale
In Europa, a dicembre dovremmo avere la prima legge al mondo sull’artificial intelligence. Dividerà i livelli di applicazione di AI su quattro livelli:
- rischio inaccettabile (ad esempio, non sarà mai possibile usare algoritmi per il riconoscimento delle emozioni a fini di marketing o per analizzare i volti delle persone nelle strade);
- alto rischio (l’applicazione va controllata da vicino per eventuale mancanza di equità delle decisioni che può prendere);
- livello basso (controlli di autocertificazione);
- livello zero.
“L’idea è di non ostacolare l’innovazione, ma allo stesso proteggere i cittadini e i valori europei – ha concluso – Entrerà in vigore, però, solo dopo due anni, per dare tempo a tutti di adeguarsi”.
AI, opportunità e rischi
Andrea Montanari, direttore di Rai Radio 3, ha presentato un podcast sull’intelligenza artificiale e introdotto il dibattito sui rischi nel suo uso.
“Negli Stati Uniti si è discusso molto sull’ipotesi di utilizzare l’AI per decidere o meno le condanne degli imputati – ha detto – Da una simulazione è emerso che, attingendo da una serie di dati, il sistema basato sull’intelligenza artificiale finiva per essere più sfavorevole per la popolazione di colore rispetto a quella dei bianchi. Questo apre tutta una serie di interrogativi sui rischi”.
“L’artificial intelligence offre opportunità straordinarie, ma anche rischi come questi – ha commentato il giornalista Luca De Biase – La tecnologia non è buona o cattiva, e neanche neutrale. Tutto dipende dall’uso: si pensi, ad esempio, al nucleare. L’AI ha però una caratteristica ulteriore perché la possibilità di creare conseguenze non dipende solo dall’uso che se ne fa, ma anche da come viene progettata. Per questo motivo è importante che alla fase di progettazione partecipino anche donne e minoranze etniche”.
Secondo De Biase, discorso simile è quello degli algoritmi, che studiano i comportamenti online e poi spingono le persone a rimanere chiuse nell’ambito di una comunità che la pensa allo stesso modo, invece di consentire di accedere a punti di vista diversi.
L’umanesimo high-tech
Il poeta Guido Catalano ha raccontato una particolare esperienza vissuta grazie a Google: la scrittura di poesie insieme all’intelligenza artificiale.
“Tutto si è sviluppato tramite una sorta di ‘ping-pong poetico’ con la macchina di AI, che ho chiamato Viola per cercare in qualche modo di umanizzare – ha detto – Viola aveva ‘studiato’ le mie poesie e rispondeva usando lo stesso stile. Sono nate così dieci poesie, quattro delle quali ho inserito in un libro. Un’esperienza molto divertente, che però non mi interessa ripetere in futuro”.
Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, ha ricordato di avere iniziato a interessarsi alla materia da giovane dopo aver letto dei libri di Isaac Asimov.
“Dopo sono arrivati Internet, i dati e gli algoritmi – ha spiegato – Ma il momento più interessante è stato quando ho lavorato alla realizzazione dei primi robot programmati per rispondere a degli stimoli. Ho creato dei robot umanoidi, un settore molto affascinante su cui però c’è ancora molto da fare”.
L’intelligenza artificiale finirà per sostituire attività come le vostre? “Per la scrittura no, almeno per il momento – ha risposto Catalano – In realtà l’AI è senza autonomia. Può andare bene per preparare un curriculum vitae, ma manca di creatività, inventiva, colpo di genio”.
In ambito musicale, però, Brian May, chitarrista dei Queen (laureato in astrofisica) recentemente ha detto: “Non sappiamo dove stiamo andando, l’anno prossimo sarà tutto diverso e non riusciremo più a capire cosa è stato creato dall’intelligenza artificiale e cosa dall’uomo. In futuro penso che guarderemo al 2023 come all’ultimo anno in cui le persone hanno davvero dominato la scena musicale”.
Per Giorgio Metta, l’AI ha molta memoria, ma non riesce a costruire un percorso con un’idea di grande respiro. Secondo alcuni, entro una decina d’anni sostituirà gli scienziati. Credo, però, che anche il lavoro di ricerca richieda invenzione, motivazione, cosa che l’intelligenza artificiale non può offrire. Nella mia ottica, rimane soprattutto un modo interessante per interagire con tutta la conoscenza umana”.
Regole per l’autodifesa alimentare
Il chimico Dario Bressanini ha presentato il suo libro “Fa bene o fa male? – Manuale di autodifesa alimentare”, che nasce per fornire strumenti pratici di autodifesa dalla disinformazione in campo scientifico. Per dimostrare che tutti, se vogliono, possono valutare la fondatezza delle affermazioni sul cibo e sulla salute che i media comunicano.
“Capita spesso che il marketing utilizzi un linguaggio all’apparenza scientifico, ma in realtà privo di significato, per magnificare le presunte caratteristiche di un prodotto – ha spiegato – Ma dobbiamo riconoscere lo ‘scientifichese’ e il ‘chemichese’ per non cadere vittime di inganni”.
Secondo Bressanini, sui mezzi di informazione e sui social network non bisogna fidarsi di un esperto solo perché presentato in questo modo. Nella scienza, infatti, il principio di autorità non ha valore e non ci si deve fidare di nessuno. Il punto fondamentale è che bisogna portare le prove di ciò che si dice.
“Quando i media presentano i risultati di studi sull’associazione tra il consumo di un alimento e una particolare condizione fisica o patologia, non significa che esista un rapporto di causa ed effetto – ha spiegato – Una correlazione senza il supporto di altre prove non è mai sufficiente a rivelare la causa di un fenomeno. Viceversa, l’assenza di correlazione tra due variabili può dimostrare che una non è causa dell’altra”.
“Una correlazione tra due variabili può anche essere del tutto casuale, senza che le variabili abbiano una causa comune – ha proseguito – Anzi, analizzando un gran numero di dati è abbastanza facile trovare correlazioni senza alcun significato”.
Anche il fatto che uno studio sia stato pubblicato su una rivista scientifica non prova nulla perché alcune non fanno controlli e accettano anche denaro. Le riviste tendono, inoltre, a pubblicare solo gli studi che rilevano un certo effetto e a scartare quelli che non ne trovano, distorcendo così la statistica.
I falsari del clima
Il geologo Mario Tozzi è intervenuto sul problema del negazionismo climatico. “I negazionisti non vogliono proporre una verità scientifica alternativa, che non esiste in nessun dato, ma cercare di dimostrare che anche la scienza non è unanime – ha detto – Da diversi anni, però, le riviste scientifiche concordano che il ruolo forzante dell’uomo nel riscaldamento globale è superiore al 97%”.
Come nasce, quindi, il negazionismo? “L’obiettivo è impedire ogni forma di regolamentazione del libero mercato, si assiste a un approccio ideologico per contrastare l’ambientalismo – ha spiegato Tozzi – Questo approccio spinge verso una visione oscurantista, che si propone di ridurre tutto solo a opinione”.
Tozzi ha ricordato che, nel 1953, uno studio dimostrò che il fumo provoca il cancro. Poco dopo, le major del tabacco si rivolsero a due famosi scienziati fisici nucleari per studiare una strategia di controinformazione. L’idea fu, in mancanza di argomentazioni scientifiche, di sollevare comunque dubbi.
Obiettivo: guadagnare tempo
Negli anni ’70 arrivarono poi anche i primi dati sugli effetti cancerogeni del fumo passivo. Nel 1996, le major persero la prima causa collettiva, ma nel frattempo erano passati anni ed erano morte molte persone. Storie simili hanno riguardato anche il DDT e i clorofluorocarburi che hanno causato il buco dell’ozono.
“Lo scopo è rallentare la verità per continuare a guadagnare – ha spiegato Tozzi – Dietro il negazionismo c’è questo interesse a prendere tempo seminando dubbi che non hanno basi scientifiche. A volte si usano come specchietti per le allodole persone qualificate, persino Premi Nobel, che però non hanno nessuna competenza specifica in climatologia. Infatti, esprimono solo opinioni, senza pubblicare risultati scientifici”.
“L’idea che si vuol far passare di una comunità scientifica divisa sul tema del clima è falsa – ha proseguito Tozzi – I climatologi, gli esperti che hanno pubblicato studi scientifici sul tema, in realtà sono concordi. Nella lista di scienziati in disaccordo, di cui a volte si parla, si trovano impiegati delle poste, chef e anche qualche scienziato, che però in climatologia ha una competenza pari a zero. Trovo surreale, poi, le citazioni strumentali di Galileo Galilei. In realtà, gli scienziati dell’epoca erano d’accordo, basta andarsi a leggere quello che scrisse Copernico e altri ancora prima di lui. Galileo non si scontrò con gli altri scienziati, che la pensavano come lui, ma con il potere della Chiesa di allora”.
In conclusione, secondo Tozzi non si possono mettere sullo stesso piano dati scientifici dimostrati con semplici opinioni di chi non ha una competenza specifica in materia o, peggio, tende a insinuare il dubbio solo per guadagnare tempo e denaro.
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