29 01 2021
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Economia circolare: quanto è diffusa in quali modalità in Italia? Se ne è parlato a un convegno organizzato da Energy & Strategy Group.
I tre principi dell’economia circolare
Secondo Umberto Bertelé del Politecnico di Milano sono tre i principi fondamentali dell’economia circolare:
- gli effetti (ad esempio, i rifiuti) sono la conseguenza della progettazione;
- mantenere in uso i materiali per un tempo prolungato ed eventualmente “aggiustarli” in seguito;
- rigenerare i sistemi naturali per fare tornare la natura “come era prima”.
“Oggi le imprese sono attente perché c’è maggiore sensibilità delle persone, ci sono regole da seguire e c’è una parte di fondi pubblici destinata alla sostenibilità – ha detto Bertelè – Il Green Deal europeo prevede di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030. Un obiettivo importante, che va fatto in equilibrio con la sostenibilità economica”.
Le strategie da seguire
Davide Chiaroni del Politecnico di Milano ha ricordato che dall’inizio del ‘900 a oggi, a fronte di una crescita di 4,5 volte della popolazione, il consumo di risorse naturali è aumentato di 12,5 volte.
“L’economia circolare è un nuovo approccio industriale che mira a trasformare in profondità il modo in cui sono utilizzate le risorse, che vengono riutilizzate e consentono di generare più valore per un periodo più lungo”, ha detto Chiaroni.
C’è un ambito di cicli tecnici che viene declinato in diverse strategie;
- ripensare e ridurre (utilizzare le risorse in forme più efficienti);
- riprogettare (progettare in modi differente);
- riutilizzare;
- riparare (e rigenerare);
- riciclare;
Per quanto riguarda i cicli biologici si deve pensare, ad esempio, all’utilizzo di energie rinnovabili e materiale rispettoso per l’ambiente.
Ma com’è la situazione nel Paese? Ci sono regioni attendiste, work in progress e in consolidamento, con qualche squilibrio tra Nord e Sud. In Europa i paesi più virtuosi sono Danimarca e Germania.
Le aziende italiane e l’economia circolare
Quanto è stato fatto dalle imprese italiane per l’economia circolare? L’Osservatorio del Politecnico di Milano ha raccolto informazioni da 152 aziende di settori come le costruzioni, l’automotive e l’impiantistica industriale.
Nelle costruzioni, ad esempio, il 75% del campione ha dichiarato di avere adottato almeno una pratica di economia circolare, mentre chi non lo ha fatto e non ha intenzione di farlo è solo il 6%.
Le strade per essere davvero considerate aziende circolari, però, è ancora lunga: le aziende – con un punteggio di riferimento da uno a cinque – si sono assegnate come voto 2,83.
Le pratiche manageriale adottate sono state design for environment (75%), design for recycling (58%), design for remanufacturing (58%), reuse (25%). Emerge, quindi, che ci si concentra soprattutto sulle fasi di progettazione.
Cosa spinge a muoversi verso l’economia circolare? Dove ci sono incentivi, leggi o regolamenti le aziende si attivano, altrimenti tutti diventa più complesso. Le barriere principali sono i costi di investimento e le tempistiche di realizzazione.
Complessivamente, nei macrosettori presi in considerazione il 62% delle aziende intervistate ha implementato almeno una pratica di economia circolare, il 10% ha un ruolo di sostegno ad altre aziende in iniziative circolari e il 14% ha intenzione di adottare almeno una pratica specifica in futuro.
“Il driver principale è rappresentato dalla presenza di incentivi, che possono fornire sostegno alle aziende per la realizzazione degli interventi necessari – ha spiegato Chiaroni – Bisogna costruire un ecosistema con piattaforme per migliorare lo sviluppo dell’economia circolare all’interno delle imprese”.
Il potenziale teorico e quello raggiungibile
Qual è il potenziale teorico e raggiungibile dell’economia circolare in Italia al 2030? Bisogna distinguere tra il potenziale teorico (con la totalità delle aziende che adottano le pratiche di economia circolare) e quello raggiungibile (con un grado di diffusione delle pratiche manageriali parziale).
Nel settore delle costruzioni l’effetto teorico dell’adozione diffusa al 2030 può essere stimato in una riduzione dei costi di produzione dal 27% al 33%, mentre lo scenario raggiungibile è una riduzione del 26,5% (pari a circa 9,7 miliardi di euro).
L’economia circolare può quindi essere efficace ed economicamente vantaggiosa. La stima non tiene in considerazione i costi necessari per sostenere la transizione, ma quegli investimenti vengono giustificati dal risparmio successivo. C’è poi anche il beneficio netto per il sistema nel suo complesso, che è spesso il risultato di guadagni e perdite fra i diversi attori.
Il ruolo dei policy maker
Quale deve essere il ruolo dei policy maker per modificare il sistema? Sarebbero necessarie 28 azioni, da adottare con rapidità ed efficacia.
“Aspetti fondamentali sono lo stanziamento di risorse finanziarie da parte del legislatore, con una scelta delle priorità per ottenere i risultati migliori – ha concluso Chiaroni – Bisogna però agire ricomponendo le divergenze, altrimenti il rischio è che la transizione verso un’economia circolare resti solo una premessa”.
Dati e ricerche