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07 03 2025

Come usare i dati in una prospettiva di genere

I dati servono per descrivere e comprendere la realtà, ma non è sufficiente disaggregare maschile e femminile: occorre tenere in considerazione altre variabili. Se ne è parlato al webinar “Dati di genere, Come usare in modo corretto dati e statistiche per l’informazione giornalistica con una prospettiva di genere”, organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.

Gli stereotipi di genere

Giulia Zacchia, economista dell’Università La Sapienza di Roma, ha detto che i dati sono utili per descrivere gli stereotipi di genere, ma spesso le pratiche rafforzano le disuguaglianze evidenti. Bisogna quindi utilizzare la scienza dei dati per sfidare e cambiare la distribuzione del potere.

Come? “Occorre disaggregare i dati in base al sesso e vanno sviluppati concetti e definizioni nella loro raccolta per garantire le diversità”, ha detto.

Gli stereotipi di genere possono nascere in qualsiasi fase del processo di produzione statistica. Basti pensare alle analisi della Banca d’Italia che, quando parla di “capo famiglia” o “persona di riferimento”, conferma una visione di disuguaglianza di genere.

Un elemento utile per analizzare la situazione italiana è l’indice di patriarcato, che misura il predominio degli uomini e delle generazioni più anziane di tipo socioeconomico.

Secondo uno studio della Sapienza, in una scala da 0 a 40, questo indice è 29 nel Sud Italia, 18 al Centro e nel Nord Ovest, 17 nel Nord Est.

Come interpretare i dati

Barbara Kenny, della Fondazione Giacomo Brodolini, ha presentato la piattaforma InGenere.it che si occupa della divulgazione della ricerca e dei saperi in un’ottica di genere. Si caratterizza perché è gestita da economiste e tutti gli articoli sono ancorati ai dati.

“In Italia si parla di crescita dell’occupazione femminile, ma bisognerebbe fare un’analisi più approfondita – ha detto – Occorre ad esempio considerare che è ultima in Europa, l’incremento occupazionale è solo nella fascia over 45 e continuano a crescere le donne inattive. Bisogna quindi sempre contestualizzare i dati”.

Nel nostro Paese, nel divario di genere c’è ancora molta strada da fare, sebbene dal 2020 sia lo Stato che registra i miglioramenti numerici più evidenti. A cosa sono dovuti? L’incremento più importante è nell’ambito del potere sociale, che si aggiunge a quello politico ed economico. Ma anche in questo caso i cambiamenti non sempre sono positivi: il Consiglio d’amministrazione della Rai, ad esempio, è passato da una rappresentazione di genere paritaria a una in cui le donne sono ora solo il 30%.

Questi sono alcuni consigli pratici per interpretare i dati:

  • interrogare le fonti;
  • capire cosa il dato rivela e cosa nasconde;
  • considerare che l’assenza di un dato è un dato;
  • interpellare persone esperte;
  • usare strumenti qualificati (inGenere.it, Lavoce.info, Etica & Economia, Neodemos, theConversation).

L’approccio intersezionale

Per Elena Ambrosetti, dell’Università La Sapienza di Roma, è importante un approccio intersezionale nella lettura dei dati e valutare i rischi di distorsione. Cosa significa intersezionalità? Intersezione tra genere, classe sociale, etnia e orientamento sessuale.

“L’intersezionalità mostra come le discriminazioni creino esperienze di marginalizzazione o privilegio – ha detto – Ad esempio, una donna con disabilità potrebbe incontrare barriere specifiche nel mondo del lavoro e le barriere possono sono diverse da quelle che può incontrare un uomo con disabilità”.

Occorre una lettura critica dei dati demografici in base a:

  • differenza tra dati disaggregati per sesso e dati di genere;
  • importanza della contestualizzazione storica e sociale.

Ad esempio, nella statistica per sesso alla nascita il rapporto tra neonati maschi e femmine è circa 106 a 100, ma i maschi perdono presto questo vantaggio perché la mortalità dei neonati è più alta e, anche in seguito, la loro vita è più breve.

I dati possono variare anche in base ai paesi: si pensi al caso dell’India, dove si registra il fenomeno degli aborti selettivi perché si preferisce avere figli maschi e a questi vengono spesso garantite maggiori cure rispetto alle femmine.

 

 

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