15 12 2020
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“Odio online e fake news”: questo è il titolo del Webinar organizzato dall’agenzia Dire, che ha affrontato un tema con cui si deve confrontare ciascuno di noi ogni giorno.
“Il problema ha diverse sfaccettature: dalle più innocue, come le tante citazioni errate riportate online, fino a veri e propri fenomeni di odio – ha spiegato Andrea Lisi, presidente di Anorc, l’Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Custodia di contenuti digitali – Per contrastarlo c’è chi si attiva per fare dei controlli, ma chi controlla il controllore?”.
Stefano Lamorgese, giornalista della trasmissione Report di Rai 3, ha raccontato alcuni episodi di odio e minacce ricevute in redazione, non solo via Internet, e ha sottolineato i rischi che derivano non solo dalle fake news, ma anche dall’esistenza di profili fake che finiscono per influenzare le opinioni più di quello che si è portati a pensare.
La “guerra d’informazione”
“Bisogna distinguere le fake news create per fare una vera e propria guerra d’informazione dalla misinformazione accidentale – ha spiegato Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Milano – Le prime si prestano a maggiori studi perché sono organizzate, a volte anche veicolate da alcuni stati: esistono vere e proprie fabbriche dei troll”.
Ziccardi ha spiegato che il diritto interno fa quello che può e comunque le norme ci sono. Il problema è soprattutto internazionale, dove manca la cooperazione ed esistono anche resistenze da parte di chi ha interessi a manipolare le informazioni. In questo contesto c’è una vera e propria emergenza.
“Come giornalisti dobbiamo essere molto equilibrati quando dobbiamo gestire le informazioni – ha detto Maria Elena Capitanio dell’Huffington Post – Capita di ricevere dossier con informazioni verosimili, che mischiano notizie vere con altre pericolose. A volte ci può essere la tentazione di fare un titolo a effetto, ma è sempre indispensabile verificare a fondo le fonti e confrontarsi con altri professionisti”.
Non è vero, ma ci credo
Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute e direttore di Tech economy 2030, ha ricordato che il tema delle fake news non nasce nella Rete, ma si perde nella notte dei tempi.
“Internet ha amplificato il problema, ha aumentato la velocità di trasmissione, ha abbattuto il livello di controllo e abbassato il livello di guardia – ha detto – I social, tramiti gli algoritmi, tendono inoltre a far vedere notizie che interessano una determinata persona e questo sviluppa la post-verità, intesa come al di là della verità, e si finisce al ‘non è vero, ma ci credo’”.
Secondo Epifani, demandare il controllo dei post a chi gestisce i social è sbagliato. Facebook, Instagram e Twitter, per citarne solo alcuni, hanno già un ruolo importante e lasciare a loro la decisione su cosa è vero o falso è eccessivo.
Come affrontare il problema? Non in modo censorio, bisogna creare cultura tra le persone e usare un modello di controllo trasparente che spieghi perché, con quali regole e da chi è stata giudicata falsa una notizia. È un lavoro molto complesso, che richiede cittadini consapevoli.
“Il giornalista spesso viene messo nelle condizioni di scrivere solo nell’ottica di creare condivisioni e viene misurato su quello, ma così il livello di controllo si abbassa e ne risente la qualità – ha spiegato Epifani – In futuro l’intelligenza artificiale cambierà il mondo del giornalismo: diminuiranno i redattori e aumenteranno i controllori di notizie”.
Per Isabella Corradini, psicologa sociale, presidente del Centro Ricerche Themis, oltre alle fake news ci sono le notizie vere, ma presentate in modo distorto, ed esiste un grande problema collegato alla percezione.
“Correre dietro alla smentita è impegnativo e a volte può diventare controproducente – ha detto – Certi titoli portano a pregiudizi, false percezioni dei problemi fino a creare scintille di odio, che hanno effetti negativi sulla vita di altre persone”.
Un cittadino informato quanto basta
Secondo Bruno Mastroianni, filosofo, giornalista e Social Media Manager, ci muoviamo in un disordine informativo.
“È importante che il cittadino sia informato quanto basta, non possono essere tutti giornalisti o investigatori, ma bisogna far sì che si possa ‘nuotare’ nel modo migliore in quest’acqua inquinata – ha spiegato – Ci vuole anche educazione alla discussione e bisogna passare dall’immagine ‘sportiva’, legata solo ai risultati, a quella del labirinto, in cui conta il percorso che porta all’uscita. Ci vuole educazione al percorso”.
Mastroianni ha ricordato quando l’accademico cileno Claudio Fuentes chiese ai suoi cittadini cosa si aspettassero dal Paese. Emerse che lasciare i cittadini a parlare da soli porta a risultati poco soddisfacenti perché manca il confronto.
“C’è un valore del dissenso – ha concluso Mastroianni – Noi non dobbiamo annullare gli inganni, ma dobbiamo vivere tra gli inganni non ingannati”.
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