20 10 2022
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“Efficacia è la parola d’ordine nei momenti complessi”. Lo ha detto Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa-Utenti pubblicità associati, in occasione dell’edizione 2022 di Branding-evolution, che si è svolta nei giorni scorsi al Teatro Franco Parenti di Milano.
Secondo Sassoli de Bianchi cambiano i contesti, ma la chiave di riferimento rimane sempre la marca. In un anno difficile si registra una volontà di investire comunque sul brand per guardare nel lungo periodo, ma la situazione economica con l’inflazione crescente, ha portato a rivedere la spesa pubblicitaria.
“Quest’anno il mercato pubblicitario registrerà una lieve flessione tra l’1 e il 2% che equivale a una sostanziale tenuta, con un valore complessivo di otto miliardi di euro e un ritorno ai valori pre-Covid”, ha spiegato.
La marca come patrimonio immateriale
Oggi gli investimenti hanno alcuni elementi di continuità e altri di novità. Tra i primi, ci sono la necessità di migliorare i sistemi di misurazione e avere contesti editoriali autorevoli, in linea con i valori delle marche. Le novità sono l’evoluzione digitale dello schermo familiare, l’influencer marketing e il brand purpose da applicare in modo efficace.
“Il metaverso e i formati advertising radio non registrano ancora investimenti molto significativi, ma saranno protagonisti nei prossimi anni – ha concluso Sassoli de Bianchi – La marca è l’unico patrimonio immateriale alla base del nostro lavoro, richiede sempre investimenti e oggi assume anche un valore sociale. Il 2023 sarà un anno di transizione, ma si può guardare con fiducia al 2024, quando saremo sempre meno dipendenti dalla Russia per l’approvvigionamento di gas”.
Il ruolo di dati e ricerche
Giuliano Noci del Politecnico di Milano ha ribadito che oggi si respira un’aria di complessità e incertezza, in cui consumatori e manager tendono a trattenersi per ridurre spese e investimenti. In questo contesto, la marca ricopre un ruolo importante perché è un elemento di ancoraggio fiduciario per i consumatori.
“I manager delle aziende hanno a disposizione leve e strumenti molto ampi – ha spiegato Noci – Bisogna poi considerare il ruolo dei dati e delle ricerche, esiste ormai una consapevolezza della loro importanza, ma c’è ancora molto da fare dal punto di vista della misurazione. Oggi la marca si consolida anche grazie alla capacità di manifestare utilità nei confronti dell’individuo”.
L’efficacia della tv lineare
Nicola Spiller del Politecnico di Milano ha poi presentato i risultati di una ricerca condotta da Upa insieme alla School of Management del Polimi, che ha evidenziato i principali mezzi e formati utilizzati dalle imprese nelle attività di brand building. I più citati sono stati, nell’ordine, cinema, influencer/creator, stampa, televisione lineare, branded content, eventi/sponsorizzazioni e digital video.
Alle aziende è stato chiesto quali mezzi sono più efficaci per raggiungere i propri obiettivi. Le risposte sono state:
- tv lineare (57%);
- eventi/sponsorizzazioni (43%);
- digital video (42%);
- branded content (39%);
- influencer/creator (30%).
Gli elementi considerati distintivi dei contenuti editoriali e delle piattaforme sono:
- compatibilità dei contenuti editoriali con i valori della marca (66%);
- qualità della produzione del contenuto editoriale (56%);
- capacità di profilazione dell’audience (54%);
- disponibilità di metriche chiare e condivise (44%).
In merito al processo di sviluppo strategico delle creatività video, le risposte sono state:
- la creatività è sviluppata a partire dalle specifiche dei media su cui sarà veicolata (57%);
- la creatività è sviluppata in modo nuovo rispetto ai media e viene declinata in seguito (28%).
Gli investimenti per misurare il valore del brand
Negli ultimi due anni, l’89% delle aziende ha investito in attività di ricerca per misurare il valore del brand e il 27% ha incrementato i budget. I partner scelti sono stati soprattutto agenzie di ricerca esterne (65%) e agenzia media (13%). Tra gli strumenti più utilizzati:
- analytics per mezzi digitali (73%);
- brand tracking e post test (46%);
- marketing mix model/modelli econometrici (42%);
- brand lift (38%);
- analytics per mezzi tradizionali (20%);
- modelli di attribuzione (15%).
“In futuro l’attenzione si sposterà soprattutto su modelli di marketing mix”, ha detto Spiller. Per quanto riguarda l’incentivazione per le indagini di brand lift per le campagne digitali, le aziende hanno risposto di considerare:
- la possibilità di correlare il contributo della campagna al comportamento d’acquisto (48%);
- i costi delle indagini e i contenuti (45%);
- la disponibilità di misurare cross media (41%).
Le aziende e i cookies
Come si preparano le imprese al prossimo scenario cookies? “Una cinque su non utilizza già soluzioni per profilare l’audience cookie based – ha concluso Spiller – E solo una su dieci, tra chi invece li usa, ha implementato soluzioni per la loro sostituzione”.
La scelta degli influencer marketing
Alberto Vivaldelli di Upa ha presentato la parte della ricerca dedicata a influencer marketing e branded content. Il 58% delle aziende intervistate ha dichiarato di fare ricorso all’influencer marketing soprattutto per raggiungere nuovi segmenti di consumatori (58%).
Influencer e creator vengono scelti soprattutto per affinità con i valori del brand (70%). Per i branded content i partner di riferimento sono:
- agenzie media (50%);
- editori/broadcaster (38%);
- agenzie creative (30%);
- agenzie full service (14%);
- concessionarie (12%);
- case di produzione (7%).
Dallo studio è inoltre emerso che il 43% delle imprese pianifica o acquista su connected tv e i team che si occupano di questo aspetto all’interno delle aziende sono media offline (40%), marketing (38%) e media digitale (37%). Il ruolo delle CTV viene considerato importante soprattutto per targeting/retargeting più mirato (64%) e reach incrementale rispetto alla tv lineare (50%).
Come si sono comportate le aziende durante la pandemia? Il 22% ha aumentato gli investimenti in brand building, ma ben il 40% ha preferito pensare solo al breve termine con budget contenuti.
Nello studio è interessante rilevare anche che ben il 72% del campione prevede di aumentare nei prossimi tre anni gli investimenti in precision marketing, con oltre la metà che già utilizza influencer.
Il rapporto tra brand equity e risultati di business
“La consapevolezza delle aziende della correlazione tra la brand equity e le performance di business rimane elevata, pari al 75%, ma i comportamenti non sono sempre conseguenti – ha proseguito Vivaldelli – Il bilanciamento ideale degli investimenti pubblicitari dovrebbe essere 60% in brand building e 40% in sales activation, ma le aziende italiane sono molto più spostate sul secondo aspetto. Negli ultimi due anni, il 22% delle imprese ha aumentato gli investimenti in brand building e il 40% ha puntato sulla sales activation, un dato che risente anche del periodo della pandemia, durante cui si è guardato più al breve periodo”.
Per il prossimo futuro il 26% delle aziende dichiara di voler incrementare gli investimenti in brand building e il 32% in sales activation. Un trend in grande crescita è il brand purpose, considerato un tema molto importante o rilevante da oltre un’azienda intervistata su quattro. Negli ultimi due anni, il 43% delle imprese ha aumentato lo spending per veicolare il brand purpose, contro il 25% che lo ha diminuito. Nei prossimi cinque anni si stima che circa un terzo delle aziende investirà oltre un terzo del budget in iniziative di brand purpose.
Come vengono misurati i risultati? Queste le risposte:
- metriche di brand building (58%);
- metriche quantitative legate all’erogazione di una campagna (42%);
- metriche di engagement (40%);
- non sono misurati (15%);
- attraverso il calcolo di Roi (12%).
Il tema della sostenibilità
Giorgio Licastro di Gfk ha spiegato che il brand purpose deve essere uno strumento di connessione con i propri consumatori, un elemento fondante della strategia di marketing e costruzione del marchio. Si è poi soffermato sul tema della sostenibilità, dividendo gli italiani in due grandi gruppi: disinteressati/distaccati e impegnati/consapevoli. Da un’indagine di Gfk è emerso, un po’ a sorpresa, che si registra maggiore attenzione a questo tema tra i baby boomer rispetto alla Generazione Z.
“La comunicazione digitale è una grande opportunità anche per il brand purpose, ma occorre attivare il target in modo corretto, avere a disposizione un dato di partenza robusto, affidabile e complesso, costruire modelli basati sulle caratteristiche che maggiormente individuano i target e non perdere di vista gli obiettivi strategici di lungo periodo – ha detto Licastro – Diversi tipi di target richiedono inoltre strategie diverse in ambito digitale”.
Una fonte di dati il più possibile completa è necessaria per:
- comprendere le caratteristiche a 360 gradi;
- individuare quelle che più le discriminano;
- osservare la relazione con la fruizione e i comportamenti digitali.
Il futuro del metaverse marketing
Lucio Lamberti del Politecnico di Milano si è soffermato su un tema oggi molto dibattuto: il metaverse marketing. “Il metaverso non è una tecnologia nuova di per sé, ma una combinazione di tecnologie in grado di creare un nuovo mercato – ha detto – Oggi conta nel mondo dai 300 ai 500 milioni di utenti, che hanno un’età media di 26 anni, e registra forti investimenti da parte delle Big Tech”.
Cosa si fa a livello di marketing nel metaverso? Secondo Lamberti oggi è soprattutto veicolo di Pr con concerti, eventi speciali, ma le applicazioni saranno presto diverse. Esistono già esperienze nel banking, ma in futuro il ruolo del metaverso sarà quello del metacanale per i brand, grazie al coinvolgimento emotivo dei consumatori che questo strumento consente. Le aziende dovranno però sapere creare un’esperienza persistente, che inviti le persone a tornare più volte sul metaverso.
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