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08 11 2021

Digital Innovation Days, alla scoperta del future of living

Il future of living è stato al centro della seconda giornata dei Digital Innovation Days. Cosa si intende con questo concetto? “Contiene dentro di sé molte parole, a cominciare da innovazione e sostenibilità”, ha spiegato Francesco Iervolino di Deloitte Officine Innovazione.

Il Covid ha portato grandi cambiamenti, si pensi solo alla crescita del 55% delle vendite online. In questa situazione di discontinuità l’innovazione è stata e continua a essere un supporto alla nuova quotidianità di individui e imprese.

Oggi il 44% dei cittadini preferisce un mix tra canale digitale e fisico, il 55% pensa che le persone devono essere al centro e il 65% è favorevole a stili di vita e consumi sostenibili.

“Si va verso la costruzione di una società del futuro efficiente ed ecosostenibile, questo è il future of living – ha proseguito Iervolino – Il percorso è accelerato da una serie di strumenti che portano a cambiamenti profondi nel modo di vivere e coinvolgono l’individuo sia nella dimensione personale e lavorativa sia come membro della collettività”.

Anche il building cambia con l’aggregazione di case/abitazioni e aree abitative in cui le persone adottano stili di vita più sostenibili.

Future of living significa il futuro dello stile di vita dell’uomo nell’ambiente interconnesso con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita, aumentare la sostenibilità e avere un impatto sociale per tutta la comunità.

“Oggi è necessaria un approccio settoriale, ma al tempo stesso una gestione e visione d’insieme nell’affrontare le principali sfide del cambiamento in modo sinergico, collaborativo e reciproco”, ha concluso Iervolino.

 

Competenze e cultura digitale per crescere

Stefano Venturi di Confindustria Digitale ha detto che anche nel Pnrr il digitale è l’abilitatore fondamentale, ma l’Italia è ancora troppo indietro nelle competenze che riguardano il digitale ed è necessario fare un salto in avanti.

Basti pensare che tra gli italiani di un’età compresa tra 16 e i 74 anni solo il 42% possiede almeno competenze digitali di base, contro la media Ue del 58%, e comunque solo il 22% di questi le ha superiori al livello basic (33% nell’Unione europea). A questo si aggiunge che solo l’1% dei laureati italiani ha studiato Ict.

“C’è molto da fare, bisogna prevedere la formazione digitale nel Pnrr – ha detto Venturi – Viviamo un’era in cui l’apprendimento deve durare tutta la vita. E non bisogna parlare solo di competenze digitali, ma anche di cultura digitale di chi fa un determinato mestiere e deve saper usare gli strumenti digitali in modo adeguato”.

 

Consumatori sempre più responsabili

Francesca Milani di Climate partner ha sottolineato che bisogna iniziare ad agire con piani concreti di sostenibilità, trasparenza delle aziende, cambiamenti nei comportamenti d’acquisto delle persone, presa di coscienza maggiore e scelte più responsabili.

“Occorre sapere che i consumatori sono responsabili del 60-70% di tutte le emissioni dirette e indirette – ha spiegato – Le ricerche mostrano come l’etichettatura sia molto utile per spingere verso scelte più responsabili”.

 

Le tre direttrici del futuro

Secondo Marcello Albergoni di LinkedIn Italia in futuro alcuni tipi di lavoro scompariranno e ne nasceranno di nuovi. “Tra le competenze digitali più richieste oggi ci sono esperti di digital marketing, e-commerce, tecnologi e content creator”, ha concluso.

Come le tecnologie del futuro cambieranno le nostre vite? A questa domanda ha risposto Massimo Canducci di Engineering Ingegneria Informatica, secondo cui siamo solo all’inizio nel migliorare con la tecnologia la vita degli esseri umani. Questo avverrà grazie alle tecnologie che verranno e ci riguarda perché cambieranno molti dei nostri comportamenti, dovremo farci trovare preparati.

Le direttrici del futuro saranno tre:

  • parleremo con le macchine. Il cliente finale non utilizzerà più singole applicazioni, ma interi ecosistemi digitali. Saranno costruiti servizi e piattaforme digitali per consentire di passare nei nuovi ecosistemi digitali che stanno per arrivare;
  • vivremo una realtà “estesa”. Ad esempio, useremo occhiali smart comandati con la voce dotati di diverse funzioni. Potremmo passare velocemente dal mobile-first al glasses-first;
  • saremo fisicamente connessi alle macchine. Si potrebbe arrivare addirittura all’inserimento di chip nel cervello e questo ha molte potenzialità, ma anche dei rischi ed è fondamentale considerare le implicazioni etiche.

 

La reputazione come asset finanziario

Paolo Iabichino, direttore creativo, ha spiegato che il termine “nuova normalità” non gli piace perché di normale c’è molto poco e chi lo usa spesso ambisce a ritornare alla situazione precedente, mentre bisogna guardare avanti.

Secondo Iabichino occorre evitare la continua polarizzazione e un esempio è la scuola. Se il dibattito diventa uno scontro tra favorevoli e contrari alla Dad si finisce per non affrontare il vero problema: la riprogettazione totale della scuola, di cui c’è bisogno da tempo.

A differenza del passato oggi molte imprese hanno capito che si può coniugare profitto e istanze sociali, attenzione all’ambiente e al territorio, a volte anche con una logica risarcitoria. Nei prossimi anni le aziende che si limiteranno solo a fare narrazione potrebbero avere delle difficoltà, a differenze di quelle che sapranno andare oltre e hanno già attuato cambiamenti concreti.

“La pandemia è stata una sorta di luminol che ha evidenziato i punti di non ritorno – ha detto Iabichino – Oggi la sensibilità dei consumatori è molto più radicata su temi di carattere sociale e ambientale. Di conseguenza, le aziende sono più attente perché la reputazione è diventata un vero e proprio asset finanziario”.

 

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