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01 10 2024

Comunicare la disabilità: un’opportunità etica, ma anche di business

“Oggi la disabilità viene comunicata in modo improprio con immagini stereotipate, paternalistiche ed eroiche. Noi vorremmo vederla invece rappresentata con autenticità e per farlo ci vogliono persone competenti. Questo anche perché ci troviamo di fronte a una grande opportunità sia etica sia di business”:

Lo ha detto Francesca Vecchioni di Fondazione Diversity in occasione del webinar “Come comunicare la disabilità”, che ha presentato dei dati:

  • il 69% della popolazione è propensa verso i brand più inclusivi;
  • le marche considerate inclusive registrano un incremento di ricavi del 21%;
  • questi brand registrano una crescita del 72% di NPS (Net Promoter Score).

Nonostante la rilevanza del tema, solo l’1,3% dei TG italiani parla però di disabilità in prime time e lo 0,05% dei servizi TG italiani parla di abilismo e discriminazione.

“Pochi forse sanno che la disabilità non solo motoria, ma intesa in senso ampio, riguarda il 15% della popolazione mondiale, il 24% di quella europea e circa tre milioni di italiani – ha detto Francesca Vecchioni – Nel mondo, la consumer spending delle persone con disabilità, delle loro famiglie o amicizie è di circa 13 trilioni di dollari, una cifra enorme. Le visualizzazioni dei contenuti con #disabilità su TikTok sono circa 507 milioni”.

Insieme per dare inizio al cambiamento

Arianna Talamona di Fondazione Diversity ha raccontato la campagna “Comunicare la disabilità”, che è stata impostata su un approccio vero e realistico sui media.

Sono state utilizzate frasi come “Sapete che negli Usa solo l’1% della pubblicità in prima serata TV usa persone con disabilità?”. Con Pubblicità Progresso è stato realizzato lo spot “Insieme possiamo dare inizio al cambiamento”, che spiega le linee guida per una comunicazione corretta e inclusiva.

Per Marina Cuollo, consulente D&I, il primo passo per comunicare la disabilità è saperla rappresentare. È importante perché, quando si lavora a campagne di comunicazione, si ha il potere di plasmare la realtà intorno a noi.

“Le nostre scelte possono continuare a spingere la narrazione predominante che, fino a oggi, presenta stereotipi, oppure possiamo cercare di cambiarla e, con essa, trasformare tutto – ha detto – Una rappresentazione parziale o un linguaggio scorretto contribuiscono al mantenimento o alla formazione di bias, diffondono disinformazione e, in generale, possono alimentare un clima di ignoranza e discriminazione”.

Identity first

Oltre al potere sociale della rappresentazione e del linguaggio bisogna considerare l’effetto che in termini scorretti o negativi possono avere sulle persone appartenenti a comunità sottorappresentate. Questo causa il “minority stress”, l’insieme degli effetti psicologici e fisiologici associati alle condizioni sociali in cui vive chi è parte di gruppi sociali stigmatizzati.

“La linea guida deve essere person first o identity first, evitando frasi come handicapato/handicappata o portatore/portatrice di handicap – ha detto Marina Cuollo – Le campagne devono poi seguire il principio ‘Nothing about us without us”, ovvero dovrebbero essere realizzate da persone con disabilità perché sono loro a essere esperte di ciò che riguarda la loro comunità”.

 

 

 

 

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