11 04 2024
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“Una delle principali dinamiche in atto nella crescita del programmatic è la maggiore efficacia ed efficienza che si può ottenere grazie all’AI”.
Lo ha detto Denise Ronconi, direttrice dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, intervenuta alla decima edizione del Programmatic Day, che si è svolta al Teatro Alcione di Milano.
Un mercato da 863 milioni di euro
“Oltre all’AI bisogna poi considerare il crescente focus sulla privacy, con la valorizzazione dei dati di prima parte di editori e advertiser, e l’allargamento ai media tradizionali – ha proseguito – Basti pensare che il programmatic DOOH nel 2023 ha raggiunto un valore di 10 milioni di euro con una crescita del 61%, che quest’anno sarà ancora di circa il 50%”.
Secondo i dati del Politecnico di Milano, il mercato del programmatic advertising nel suo complesso l’anno scorso è stato di 863 milioni di euro (+9%) e nel 2024 si stima sarà tra i 930 e i 945 milioni (+8/10%).
“Molto dipenderà dallo scenario cookieless – ha spiegato Denise Ronconi – Dieci anni fa il mercato valeva 110 milioni di euro e pesava il 10% della raccolta display, oggi incide per il 27% sulla raccolta display/audio. Il settore cresce e cambia molto rapidamente”.
L’AI come l’invenzione del fuoco
Il ruolo fondamentale che sempre più avrà l’intelligenza artificiale è stato sottolineato anche da Giuseppe Mayer, imprenditore e professore in AI & Corporate Communication.
“L’AI è come l’invenzione del fuoco: può essere di enorme aiuto, ma può anche creare problemi e bisogna saperla gestire – ha spiegato con una metafora, a cui ne ha fatta seguire un’altra – Il mostro ruolo di utenti è quello dei topi di laboratorio: Chat GPT è infatti nata come un test diventato poi disponibile per tutti”.
Secondo Mayer, bisogna fare una chiara distinzione tra intelligenza artificiale e AI generativa: “L’artificial intelligence è quella cosa che permette di leggere un libroe catalogarlo, mentre l’AI generativa è una tecnologia che consente di scrivere un libro”, ha spiegato.
L’AI generativa consente investimenti minori, tempi ridotti. E più miglioriamo i nostri modelli generativi e più loro avranno un sorprendente livello di comprensione del mondo.
“Generare significa in sostanza prevedere – ha proseguito Mayer – Il nostro approccio deve essere quello di chi guida un’auto: per farlo non è necessario conoscere il motore, è sufficiente sapere usare il volante”.
Cosa può fare l’AI generativa
L’AI generativa è una sorta di “nuova collega” che:
- aggiorna le informazioni sul Web;
- impara in fretta;
- è guidata dai dati e non dalle emozioni;
- è analitica e creativa;
- è paziente;
- ha un desiderio di compiacere.
“L’aspetto positivo è che con l’AI generativa si può essere creativi, analitici, tecnici e fare ragionamenti complessi – ha aggiunto Mayer – Il limite, però è lo stesso di chi aveva l’iPhone nel 2007, che in realtà serviva poco a telefonare. L’intelligenza artificiale, inoltre, a volte mente perché è addestrata a compiacerci ed è piena di pregiudizi. In quanto addestrata da noi risponde alla nostra visione del mondo”.
E in azienda? Aumenta l’efficienza e migliora il modo di lavorare. Può aiutare tanto, ma bisogna spiegarle molte cose. Si può ancora farne a meno, ma in prospettiva chi non parteciperà a questa rivoluzione sarà senza qualcosa di importante”.
“L’AI è un grande aiuto, ha grande accessibilità e permette di testare con rapidità le nostre idee”, ha concluso Mayer.
Secondo uno studio di Salesforce, negli Usa il 47,8% delle persone che già la usa in azienda lo fa di propria iniziativa.
La ricerca Yoursight
Giacomo Fusina, Ceo di Human Highway, ha presentato i risultati della ventunesima edizione di Yoursight.
Dalla ricerca, condotta su un campione di 2.027 persone, è emerso che il periodo che stiamo vivendo è definito dal 41% complicato, seguito da dinamico e confuso.
Il trend del momento è l’intelligenza artificiale, con il 73% delle risposte. In ambito pubblicitario, il potenziale maggiore è individuato nei video, con il mobile che perde attrattività rispetto agli anni precedenti e scivola al settimo posto.
“In generale, si assiste a una maturazione del settore in termini di competenze, ma anche a una sensazione di confusione nelle metriche e nelle misurazioni – ha detto Fusina – È significativo rilevare che, secondo il 68,8% del campione intervistato, in futuro il programmatic diventerà il modo prevalente di fare pubblicità in televisione”.
L’attenzione e le metriche per misurarla
Sara Pellachin, Head of Enterprise Solutions di Teads, ha concordato sul fatto che sarà centrale nei prossimi mesi. “A breve riusciremo tutti a capire meglio la concretezza dell’AI in ambito programmatic – ha spiegato – Ad esempio, per l’ottimizzazione delle campagne”.
Giuseppe Vigorito, Experienced Digital Adv Sales Manager di IAS, si è soffermato sulle metriche utilizzate per misurare l’attenzione degli utenti nelle pubblicità digital. “Un tema fondamentale è la standardizzazione, ma bisogna partire da una metodologia affidabile e riconosciuta – ha detto – L’attenzione deve diventare qualcosa di efficace, collegata ai risultati di business. Deve semplificare il modo in cui valutiamo le campagne digitali”.
Per Vigorito, oggi la ricerca dell’attenzione deve rispondere alla complessità con semplicità. I punti fondamentali sono visibility, situation e interaction: sono questi tre aspetti a formare l’attenzione.
Il programmatic genera vendite
Carlotta Meneghini, digital marketing manager di Nespresso, ha detto che a livello globale il programmatic è ancora troppo polarizzato sulla parte brand, mentre bisognerebbe cercare di utilizzarlo su tutta l’awareness.
“Oggi il programmatic non è più solo soft kpi, ma genera vendite – ha spiegato – C’è poi il grande tema della misurazione: occorre trovare un modello comune, un unico strumento per valutare la nostra attività”.
L’era della CTV
Matteo Pomi, responsabile sales di Next 14, ha parlato della Connected tv. “Con la CTV oggi siamo diventati spettatori attivi in grado di creare palinsesti personalizzati – ha detto – Il settore cambia velocemente: basti pensare che, negli Usa, YouTube ha acquistato i diritti della NFL e questo significa che potrebbe diventare una televisione invece che un second screen come è stato finora”.
La Connected Tv offre il vantaggio di raggiungere target specifici e si riesce ad arrivare a fasce di popolazione che con il lineare, soprattutto i più giovani, non era più possibile raggiungere.
Secondo Carmine Latrelli, direttore Adv Tech di Italiaonline, l’era cookieless alle porte non va considerata la fine di qualcosa, ma l’inizio di un cambiamento. E nel settore occorre recuperare semplicità perché la complessità a cui siamo arrivati è ormai ridondante.
Il retail media
Sara Buluggiu, Ceo di Retailor Media, ha evidenziato che, terminata la pandemia, si è assistito a un calo dei giudizi della spesa grocery e alimentare online che riguarda tutti gli aspetti dell’esperienza. Questo in un contesto italiano in cui chi fa la spesa online è meno del 3% della popolazione.
Secondo Ipsos, lo scenario del retail media italiano è caratterizzato da:
- identità di insegna al centro delle strategie dei retailer;
- necessità di non dare per scontati gli aspetti funzionali delle relazioni;
- ritorno alla centralità del punto vendita.
“In Italia c’è maggiore frammentarietà rispetto ad altri paesi – ha detto – In questo contesto, bisogna essere degli aggregatori e valorizzare l’esperienza in store. Oggi siamo ancora al giorno uno del retail media in cui si può fare targeting prendendo il prodotto e cercando di capire chi lo compra. È un modo diverso di approcciarsi, ma il retail media deve essere come sussurrare all’orecchio di qualcuno mentre fa un acquisto”.
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