07 03 2024
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“Fare greenwashing fa perdere valore a un’azienda, mentre essere etico conviene e fa guadagnare soldi”. Il messaggio è stato lanciato da Luca Poma, docente dell’Università Luiss di Roma, in occasione del convegno “False Esg, narrazioni aziendali (in)autentiche”, organizzato dalla Ferpi all’Università Iulm di Milano.
“La reputazione è definita non dall’immagine, ma dall’identità – ha spiegato Luca Poma dell’Università Luiss di Roma – L’identità è come se fosse il palazzo, mentre l’immagine è l’impalcatura. Se quest’ultima si allontana troppo dal palazzo, il primo crolla. L’onore e la reputazione hanno a che fare con quello che facciamo, non con quello che diciamo. Ed è per questo che il greenwashing è controproducente: crea, infatti, le basi per una crisi reputazionale”.
Meglio fare meno, ma fare meglio
Poma ha citato una ricerca finanziata dal Parlamento europeo da cui è emerso che il 71% delle aziende ha certificati Esg che sono solo validazioni di autocertificazioni. È meglio fare meno, ma fare meglio perché altrimenti si corrono seri rischi. E il report di sostenibilità andrebbe equiparato al bilancio, con relative attestazioni e le stesse sanzioni.
“La reputazione è un’opportunità, ma ha delle componenti che vanno valutate e gestite in anticipo – ha concluso Poma – Se le cose si fanno male poi si finisce per perdere dei soldi”.
L’importanza dell’autenticità
Per Alberto Pirni della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa la reputazione ricava significato da altri termini come timore, rispetto, autenticità, responsabilità e onore. “Bisogna apparire come meglio si può, ma solo se tutto è accompagnato dall’autenticità – ha spiegato – Perché a volte si mente? Per interesse o ricerca di riconoscimento. Mentire ha comunque a che fare con la costruzione dell’identità”.
Per Nicola Menardi dello Studio Grande Stevens il limite legale della narrazione è la verità dei fatti. Se la narrazione costruita è falsa può essere soggetta a sanzioni civili e penali.
“Il greenwashing può consistere, ad esempio, nel fregiarsi di premi opachi, proporre la vendita di prodotti collegati a gestioni sociali ed etiche in modo fuorviante – ha spiegato – Se con il greenwashing si inganna il consumatore o un finanziatore, e c’è un danno economico diretto e misurabile, si compie un reato”.
La fiaba dell’impatto zero
“Se sommiamo la Co2 che le aziende dichiarano di assorbire bisognerebbe immetterne dell’altra per compensare – ha detto in modo provocatorio Massimiliano Corsano, ex colonnello di Carabinieri del Comando Nuclei Operativi Ecologici – Il sospetto è che finora ci sia stato un eccesso di narrazione di questo tema. Il mondo dei crediti di Co2 nasce dalla fiaba dell’impatto zero”.
“Per consentire questo obiettivo illusorio anche il crimine organizzato è entrato nel mercato per speculare – ha proseguito Corsano – Ci sono aziende che hanno crediti inesistenti o addirittura creati dal crimine organizzato. Anche i bilanci di sostenibilità sono legati a necessità di marketing o rating”.
La sostenibilità è un obbligo
Per Federica Ricceri, docente dell’Università Iulm, bisogna creare competenze a livello universitario per favorire lo sviluppo di queste tematiche, mentre secondo Cristiana Regate di Refe sostenibilità e sviluppo sono concetti inscindibili. “Questo sviluppo deve garantire continuità e per le aziende oggi non è più una scelta, ma un obbligo”, ha spiegato.
Ada Rosa Balzan di Arb ha sottolineato che la trasparenza è un elemento chiave e occorre un approccio scientifico alla sostenibilità. “Prima bisogna fare e solo dopo comunicare – ha detto – Sono necessarie metodologie scientifiche che rendano solide le scelte. Fino al Covid la sostenibilità poteva essere considerata nice to have, oggi è must to have”.
“Siamo ancora a un punto zero: nella comunicazione bisogna essere autentici e fare ammenda del passato, quando mancava la cultura e l’unico diktat era fare profitto – ha spiegato Matteo Aiolfi di Espresso CS – Oggi nella comunicazione siamo a un primo step vero e il traguardo è ancora molto lontano”.
Il greenashing
La Generazione Z, che rappresenta il 40% dei consumatori nel mondo, come si approccia a queste tematiche? Secondo uno studio di McKinsey, ben l’88% non si fida di nessuna dichiarazione Esg delle aziende.
“Un nuovo fenomeno che si riscontra è il greenashing delle aziende, che iniziano ad avere paura di parlare – ha spiegato Giorgia Grandoni – Da un’indagine è emerso che un’impresa su quattro, nonostante la creazione di progetti di sostenibilità, è arrivata ad avere timore di comunicarlo”.
“C’è ancora molto da fare perché ci sono anche resistenze di tipo culturale delle aziende – ha concluso – In particolare, in Italia il tessuto aziendale è composto soprattutto da Pmi che spesso non capiscono l’utilità di questi cambiamenti. Fare sostenibilità e farlo bene è un viaggio e questo spesso ancora spaventa”.
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