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21 11 2023

Come usare l’italiano in modo inclusivo

Scrivere e parlare in italiano in modo inclusivo non è solo un aspetto linguistico, ma una predisposizione mentale che pone le basi per porsi delle domande in tutte le situazioni in cui ci si può trovare ogni giorno: nel lavoro, con gli amici, in famiglia.

È anche da questa premessa che è nato Inclusive Talk, il tool AI Based con cui Take desidera stimolare una riflessione collettiva sull’impatto del linguaggio inclusivo, ambito nel quale ha deciso di impegnarsi. Perché le parole “curano”.

Di questi temi se ne è parlato anche a un webinar organizzato da Google, che ha fornito degli strumenti utili per approcciare in modo corretto il copy inclusivo.

“Quando si pensa a quali parole usare per includere bisogna analizzare la situazione da più punti di vista – ha spiegato Claudio Russo di Google – La pratica di una lingua inclusiva si realizza con l’attenzione verso cosa e come dire quello che si vuol comunicare. Ad esempio, le categorie sociali eclissano le unicità individuali e vanno usate con cautela”.

Le regole da seguire

Alcuni consigli da considerare prima di scrivere:

  • cercare le domande giuste e, soprattutto, farle alle persone che sono direttamente interessate;
  • consultare i glossari (ad esempio, queercultureguide.com);
  • provare, sbagliare. E poi provare e sbagliare di nuovo;
  • una persona non è una sua caratteristica;
  • rigirare le frasi aiuta a non specificare un genere;
  • gli “spettri” non devono più spaventare (non ci sono due generi, ma uno spettro di generi. L’italiano ha solo due generi linguistici, il neutro non esiste, ma alcune parole sono invariabili: ad esempio, artista e astronauta, anche se solo al singolare).

Gli esempi

Qualche esempio concreto:

  • non bisogna usare “un/una disabile”, ma “una persona con disabilità”;
  • non scrivere “costretta sulla sedia a rotelle”, ma “con la sedie a rotelle”;
  • non usare “una persona Down”, ma “una persona con la sindrome di Down”;
  • evitare di considerare straordinari dei traguardi ordinari raggiunti dalle persone con disabilità (e altri pietismi simili);
  • meglio scrivere “persona cieca o sorda” di “non vedente o non udente” (noi non ci presentiamo come persone vedenti):
  • non usare termini come razza (piuttosto meglio etnia) o minoranza (meglio comunità o persone). Meglio ancora specificare con un aggettivo;
  • evitare “car* tutt*”, preferire invece “ciao, caro team, gentili”;
  • non usare “diritti dell’uomo” o “l’uomo medievale”, ma “i diritti umani” o “i popoli medievali”;
  • attenzione all’ordine in cui si nominano donne e uomini: è consigliabile mischiarlo ed evitare di nominare sempre la stessa persona per prima.

 Il linguaggio del rispetto

Secondo Luciana De Laurentiis di Fastweb, intervenuta al webinar “Oltre schwa e asterischi c’è il copy inclusivo”, “il copy inclusivo riguarda la nostra quotidianità lavorativa ed è un linguaggio che esprime rispetto per persone, categorie, situazioni e contesti”.

Le parole costruiscono la realtà

Oggi i temi dell’inclusione sono sempre più diffusi nelle organizzazioni per vari motivi:

  • dimensione sempre più multiculturale che si diffonde nelle multinazionali;
  • prolungamento della vita attiva;
  • aumento dell’occupazione femminile;
  • crescente differenziazione nelle professionalità e nella clientela;
  • attenzione più specifica a orientamenti e bisogno diversi nella work-life integration.

“Le parole rappresentano il mondo e aiutano la costruzione della realtà – ha proseguito Luciana De Laurentiis – Negli ultimi tempi il linguaggio inclusivo è diventato un po’ anche di moda, ma non è ideologia. Si tratta di una questione molto pratica nelle organizzazioni e riguarda siti web, newsletter, portali di assistenza clienti, social media, campagne di marketing, comunicati stampa e molti altri tipi di contenuti”.

Un linguaggio accessibile e comprensibile

Cosa si intende per linguaggio inclusivo? Per Fabrizio Acanfora “L’uso di un linguaggio appropriato nel descrivere le diversità gioca un ruolo importante nella formazione di una coscienza collettiva che accolga e includa le differenze come parte di un tutto eterogeneo”.

Per Alice Orrù “Il linguaggio inclusivo è libero da parole, frasi o toni che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie verso determinati gruppi di persone”.

Un linguaggio inclusivo deve essere adatto e comprensibile a più persone possibile. Lo è se rispetta per chiunque i principi base di accessibilità e comprensibilità. L’uso dell’asterisco non risolve certo il problema: ha una valenza simbolica, ma non rende fluida e accessibile la lettura. La vera evoluzione del linguaggio inclusivo passa invece da una prospettiva ragionevole e rispettosa della lingua comune. Ad esempio, i nomi professionali declinati al femminile esistono e non si tratta di opinioni, ma di genere grammaticale.

I vantaggi per l’advertising

Il linguaggio inclusivo non è solo una questione di genere e si rivolge anche alle persone con disabilità. Spesso si parla poi di ageismo, riferendosi a persone anziane descritte in modo stereotipato e in questo modo creiamo oggi la nostra discriminazione di domani. In ogni caso, bisogna considerare che la discriminazione può manifestarsi anche verso le persone più giovani.

“Il linguaggio deve essere accessibile e non può quindi essere neanche settoriale o burocratico, un altro rischio che si corre – ha concluso Luciana De Laurentiis – Un aspetto importante da considerare è che nella pubblicità i marchi con maggiore diversità sono quelli che ottengono risultati migliori”.

 

 

 

 

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