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27 07 2023

Oltre una Pmi su tre punta sempre di più sul digitale

Il 35% delle Pmi italiane investe sempre di più sul digitale perché pensa sia il futuro, ma la stessa percentuale rappresenta le Piccole medie imprese convinte che nel loro settore la digitalizzazione abbia un ruolo marginale.

Sono luci e ombre quelle che emergono da una ricerca condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, presentata nei giorni scorsi in occasione del convegno “Le Pmi verso la maturità digitale: la bussola è nell’ecosistema”.

Secondo l’indagine, il 14% delle Pmi dice di avvicinarsi al digitale pur senza averne ancora capito bene gli impatti, mentre un 8% dichiara di essere molto avanti nel processo di digitalizzazione e un altro 8% è frenato dai costi, valutati troppo alti rispetto ai benefici.

Due dati lasciano particolarmente perplessi: ben il 44% delle aziende intervistate dichiara di non usare strumenti digitali per gestire i processi d’acquisto e il 56% vende ancora solo offline.

Più incoraggiante è sapere che il 72% raccoglie i dati, utilizzati soprattutto per valutare l’andamento aziendale (39%), i clienti (27%), l’efficienza dei processi lavorativi (23%) e i fornitori (20%).

La maturità digitale

“Abbiamo fatto una suddivisione delle aziende in base alla maturità digitale, intesa cultura digitale, trasformazione digitale dei processi, ecosistemi e forze esterne – ha detto Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale delle Pmi – È emerso che il 39% delle Pmi può essere considerata timida, il 36% convinta, il 16% scettica e il 9% avanzata”.

Da un raffronto tra il 2022 e il 2021 si evince che gli investimenti in tecnologie digitali sono prevalentemente rimasti invariati (55%), ma nel 26% dei casi sono aumentati e nell’8% diminuiti.

La sicurezza informatica

Un altro aspetto riguarda la sicurezza informatica. Dallo studio del PoliMi emerge che nelle aziende sono presenti:

  • soluzioni tecnologiche di base (81%);
  • soluzioni tecnologiche avanzate (28%);
  • attività di formazione rivolte ai dipendenti (24%);
  • servizi di consulenza sulla cybersecurity (20%);
  • stipula di polizze assicurative (10%).

Sono dati ancora insufficienti, che denotano un’esposizione troppo elevata ai rischi.

La spinta per l’innovazione in azienda

La ricerca evidenzia che in otto Pmi su dieci esiste un promotore della digitalizzazione. Quali sono queste figure?

  • l’imprenditore o un suo familiare (29%);
  • il vertice strategico (28%);
  • il responsabile del progetto digitale/informatico (15%);
  • un consulente esterno (8%);
  • un gruppo di lavoro interno dedicato al miglioramento (7%);
  • un responsabile di funzione (7%).

Esiste poi l’aspetto delle competenze digitali. Il 47% dichiara un livello di competenze digitali in azienda almeno buono, ma il 51% delle Pmi non fa alcuna attività per migliorare questo aspetto.

Basti pensare che solo il 7% degli intervistati dichiara di organizzare una formazione continua rivolta alle figure apicali per migliorare la loro capacità di elaborare nuove visioni, e si ferma all’8% l’inserimento di figure con precise competenze di questo tipo.

I soggetti esterni partner delle Pmi coinvolti in progetti di digitalizzazioni sono soprattutto studi professionali e di consulenza tecnica (44%), associazioni di categoria e attori di filiera (43%).

Il 79% delle Piccole medie imprese dichiara, inoltre, di aver ottenuto fondi pubblici per la digitalizzazione e i principali strumenti a cui hanno fatto ricorso sono stati il credito d’impresa per gli investimenti in beni strumentali (79%) e i prestiti garantiti (46%).

L’identikit delle Pmi

Il Politecnico di Milano ha scattato una fotografia generale delle Pmi, che in Italia sono oltre 221mila (il 5% del totale), distribuite per il 57% al Nord, il 20% al Centro e il 23% al Sud. Operano soprattutto nei settori manifatturiero (31%), commercio (18%), alloggio e ristorazione (13%).

Il loro fatturato è di 1.143 miliardi di euro, pari al 41% di quello totale del nostro Paese, occupano 5,9 milioni di persone e generano 278 miliardi di valore aggiunto.

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