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12 03 2020

Smart Working: come cambia il modo di lavorare

Smart Working: se finora è stata solo la scelta di alcune aziende, in questi giorni di emergenza è diventata una necessità a tutela della salute di tutti e per la continuità di alcune attività. Come può essere definito lo Smart Working? Secondo l’Osservatorio sul settore del Politecnico di Milano è “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Il termine telelavoro, utilizzato tempo fa, non restituisce invece appieno il significato e la completezza del lavoro remoto.

 

Una grande impresa su due adotta già lo Smart Working

Lo stesso Osservatorio ha verificato, pochi mesi fa, la diffusione del lavoro agile in Italia. Dalla ricerca è emerso che oltre una grande impresa su due (il 58%) ha già introdotto iniziative concrete di questo tipo.

Significativo anche l’aumento della diffusione nelle Pmi, che in un anno – dal 2019 al 2018 – è passato dal’8 al 12% di progetti strutturati e dal 16 al 18% di quelli informali. Ciononostante, una piccola media impresa su due ha continuato a manifestare un sostanziale disinteresse per lo smart working.

Qualche dato incoraggiante è stato registrato anche nella Pubblica amministrazione, che nel 16% dei casi (era l’8% nel 2018) ha dichiarato di avere progetti strutturati di questo genere.

Alla luce di quello che è avvenuto in questi giorni sarebbe interessante avere un aggiornamento dei dati, soprattutto nel Nord Italia. È facile prevedere grandi variazioni, seppur dovute a scelte quasi “obbligate”.

 

Italtel, i numeri del risparmio

Per limitarci ancora al 2019, una case-history interessante è quella di Italtel. In questa azienda lo Smart Working ha riguardato circa 400 persone su 1.000, un dato più che quadruplicato rispetto all’inizio del progetto, avvenuto quattro anni fa.

L’anno scorso Italtel ha stimato una serie di risparmi: 11,8 chilogrammi di Co2 pro capite medio giornaliero (+40% rispetto al triennio precedente), 30 euro di spesa per persona (+58%), 24mila ore e 890mila chilometri complessivi durante tutto l’anno, con una crescita rispettivamente del 55% e del 42%. Sono numeri importanti, che dimostrano l’impatto di una seria politica di questo tipo in un’azienda di grandi dimensioni.

In tema di Smart Working esiste anche un aspetto legislativo, che risale al 2017, quando il Senato approvò un disegno di legge specifico. Dopo circa un anno dalla sua entrata in vigore, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha registrato un effetto positivo nella pubblica amministrazione pari al 60%, mentre solo il 17% delle aziende ha deciso di attivarsi a seguito dell’intervento del legislatore.

 

I vantaggi dello Smart Working: la produttività cresce del 15%

L’Osservatorio del Politecnico di Milano sottolinea che un’adozione organizzata dello Smart Working può portare a un incremento della produttività del lavoratore stimata in circa il 15%. Secondo il PoliMi, con un coinvolgimento del 70% di cinque milioni di lavoratori, in Italia si potrebbe ottenere un incremento della produttività media pari a un valore di 3,7 miliardi di euro.

In parallelo aumenterebbe la soddisfazione delle persone. In base ai dati rilevati nel 2019, il 76% dei 570mila smart worker è soddisfatto del proprio lavoro, contro il 55% degli altri lavoratori. Non mancano, però, anche gli aspetti problematici:

  • la percezione di isolamento (35%);
  • le distrazioni esterne (21%);
  • i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%);
  • la barriera tecnologica (11%).

 

Come assorbire l’impatto del coronavirus sul lavoro

In questi giorni di emergenza cosa è cambiato? La risposta arriva da Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, in un’intervista rilasciata all’agenzia Adnkronos-Labitalia: “Lo Smart Working aiuta le imprese ad assorbire l’impatto del coronavirus, che è un disastro dal punto di vista economico, facilitando il lavoro a distanza, senza così bloccare il Paese. Certo, non tutte le realtà aziendali sono uguali. Questi giorni stanno mettendo in luce delle differenze sostanziali tra chi riesce comunque a mantenere l’operatività normale e chi, invece, non riesce a inserire nell’organizzazione aziendale questo nuovo modello di lavoro. Anche perché non si può pretendere che, da un momento all’altro, il dipendente lavori da remoto. Non è così semplice: non è sufficiente un pc e una connessione Internet. Ci si deve allenare al coordinamento con il datore di lavoro e con un team di riferimento, nel caso si lavori su un progetto a più mani”.

È quello che anche Take in questi giorni ha iniziato a fare, con buoni risultati.

Smart Working: se finora è stata solo la scelta di alcune aziende, in questi giorni di emergenza è diventata una necessità a tutela della salute di tutti. Come può essere definito lo Smart Working? Secondo l’Osservatorio sul settore del Politecnico di Milano è “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

 

Una grande impresa su due adotta già lo Smart Working

Lo stesso Osservatorio ha verificato, pochi mesi fa, la diffusione del lavoro agile in Italia. Dalla ricerca è emerso che oltre una grande impresa su due (il 58%) ha già introdotto iniziative concrete di questo tipo.

Significativo anche l’aumento della diffusione nelle Pmi, che in un anno – dal 2019 al 2018 – è passato dal’8 al 12% di progetti strutturati e dal 16 al 18% di quelli informali. Ciononostante, una piccola media impresa su due ha continuato a manifestare un sostanziale disinteresse per lo smart working.

Qualche dato incoraggiante è stato registrato anche nella Pubblica amministrazione, che nel 16% dei casi (era l’8% nel 2018) ha dichiarato di avere progetti strutturati di questo genere.

Alla luce di quello che è avvenuto in questi giorni sarebbe interessante avere un aggiornamento dei dati, soprattutto nel Nord Italia. È facile prevedere grandi variazioni, seppur dovute a scelte quasi “obbligate”.

 

Italtel, i numeri del risparmio

Per limitarci ancora al 2019, una case-history interessante è quella di Italtel. In questa azienda lo Smart Working ha riguardato circa 400 persone su 1.000, un dato più che quadruplicato rispetto all’inizio del progetto, avvenuto quattro anni fa.

L’anno scorso Italtel ha stimato una serie di risparmi: 11,8 chilogrammi di Co2 pro capite medio giornaliero (+40% rispetto al triennio precedente), 30 euro di spesa per persona (+58%), 24mila ore e 890mila chilometri complessivi durante tutto l’anno, con una crescita rispettivamente del 55% e del 42%. Sono numeri importanti, che dimostrano l’impatto di una seria politica di questo tipo in un’azienda di grandi dimensioni.

In tema di Smart Working esiste anche un aspetto legislativo, che risale al 2017, quando il Senato approvò un disegno di legge specifico. Dopo circa un anno dalla sua entrata in vigore, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha registrato un effetto positivo nella pubblica amministrazione pari al 60%, mentre solo il 17% delle aziende ha deciso di attivarsi a seguito dell’intervento del legislatore.

 

Con lo Smart Working la produttività cresce del 15%

L’Osservatorio del Politecnico di Milano sottolinea che un’adozione organizzata dello Smart Working può portare a un incremento della produttività del lavoratore stimata in circa il 15%. Secondo il PoliMi, con un coinvolgimento del 70% di cinque milioni di lavoratori, in Italia si potrebbe ottenere un incremento della produttività media pari a un valore di 3,7 miliardi di euro.

In parallelo aumenterebbe la soddisfazione delle persone. In base ai dati rilevati nel 2019, il 76% dei 570mila smart worker è soddisfatto del proprio lavoro, contro il 55% degli altri lavoratori. Non mancano, però, anche gli aspetti problematici:

  • la percezione di isolamento (35%);
  • le distrazioni esterne (21%);
  • i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%);
  • la barriera tecnologica (11%).

 

Come assorbire l’impatto del coronavirus sul lavoro

In questi giorni di emergenza cosa è cambiato? La risposta arriva da Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, in un’intervista rilasciata all’agenzia Adnkronos-Labitalia: “Lo Smart Working aiuta le imprese ad assorbire l’impatto del coronavirus, che è un disastro dal punto di vista economico, facilitando il lavoro a distanza, senza così bloccare il Paese. Certo, non tutte le realtà aziendali sono uguali. Questi giorni stanno mettendo in luce delle differenze sostanziali tra chi riesce comunque a mantenere l’operatività normale e chi, invece, non riesce a inserire nell’organizzazione aziendale questo nuovo modello di lavoro. Anche perché non si può pretendere che, da un momento all’altro, il dipendente lavori da remoto. Non è così semplice: non è sufficiente un pc e una connessione Internet. Ci si deve allenare al coordinamento con il datore di lavoro e con un team di riferimento, nel caso si lavori su un progetto a più mani”.

È quello che anche Take in questi giorni ha iniziato a fare, con buoni risultati.

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